UNA DEMOCRAZIA DA BUFFET
C’è un equivoco che conviene svelare subito. In Italia le consultazioni democratiche sono regolate da precise formalità, codificate da Costituzione e leggi. Si tratta di materia delicata e preziosa: utile per evitare guerre civili. Ciò non toglie che il Club della Caccia possa organizzare tra i propri soci l’elezione del presidente, o che i sindacati possano indire un referendum tra i propri iscritti sulla tale questione. Ma quello che si è svolto in questi giorni dentro e fuori dalle fabbriche italiane non appartiene né al rito laico della democrazia, né alla consultazione da club. Pensionati (quanti?, quali?, in che forme?), precari (tutti e 3,5 milioni iscritti al fondo speciale dell’Inps?) e lavoratori dipendenti (è avvenuto anche in tutti gli uffici dei nostri lettori?) sono stati chiamati a dare un loro parere su un accordo votato dal Consiglio dei ministri. Il protocollo, detto del Welfare, essenzialmente allontana l’aumento dell’età della pensione e ne fa pagare il conto (circa 7,5 miliardi) ai lavoratori parasubordinati (3,5 milioni come si diceva) che vedranno i loro contributi sociali salire al 26,5 per cento. L’idea del referendum è partita dai tre sindacati confederali e ha riguardato non solo i loro iscritti.
Indipendentemente dal risultato emerge così un primo elemento paradossale. Il governo fa una scelta (folle da parte nostra) di spesa pubblica e di politica del lavoro. I sindacati la sottoscrivono, anzi la contrattano preventivamente. E poi si procede a una mini consultazione elettorale organizzata dagli stessi sindacati. È evidente che c’è qualcosa che non quadra. Il governo espressione di un parlamento eletto, questo sì democraticamente, potrebbe già decidere per conto suo. I sindacati dovrebbero già avere de facto una legittimazione, una rappresentatività per trattare. Eppure è necessario un ulteriore passaggio.
La democrazia italiana diventa così un buffet affollato: in cui ognuno sceglie solo il piatto che più lo aggrada. Non sembra questo il modo migliore per combattere l’antipolitica: appare al contrario il modo più lampante per certificare la morte di una classe dirigente. Un secondo aspetto paradossale è poi l’esito della consultazione. Gli operai metalmeccanici (in Italia non arrivano a due milioni) hanno votato contro l’accordo. Ma pensionati e dipendenti pubblici, numericamente molto più numerosi, hanno invece permesso al referendum di passare. Evidentemente i sindacati non solo non sono più in grado di interpretare e indirizzare gli umori delle fabbriche, ma la loro anima genuinamente corporativa si è spostata negli ambiti protetti dell’economia: pubblica amministrazione e pensionati. Si fa un gran parlare della diminuzione della spesa pubblica. E si trascura l’evidenza che referendum fintamente democratici legittimano l’essenza corporativa dello Scialo di Stato. Ma la coscienza pubblica del politicamente corretto è salva: in tanti parleranno oggi di «grande prova democratica dei nostri lavoratori». Non è stata democratica e il suo esito non è stato determinato da chi davvero lavora.