Il Consiglio dei ministri ha votato, quasi compatto, a favore di una grande, gigantesca bugia. Ha deciso che i giovani di oggi, indipendentemente dal proprio lavoro e dai contributi previdenziali versati, al momento della pensione avranno un assegno pari ad almeno il 60 per cento dei loro ultimi stipendi. Si tratta di un inganno che si regge sulla semplice circostanza che quando i giovani di oggi diventeranno vecchi, i vecchi che ci governano non ci saranno più. E non saranno quindi chiamati a pagare la cambiale che hanno sottoscritto con tanta generosità.
Mentre in Italia si consumava dunque lo stanco rito della concertazione, dall’altra parte dell’Oceano il Fondo monetario internazionale faceva a pezzi la nostra politica economica, notando tre cose.
1. L’Italia ha rallentato il suo percorso verso il risanamento dei conti pubblici.
2. Il maggior gettito fiscale di quest’anno è stato utilizzato male.
3. La crescita italiana è stata e sarà molto inferiore a quella degli altri Paesi europei.
Il fatto che l’Italia non sia un fenomeno nella tenuta dei suoi conti pubblici non è un unicum di questo governo, così come la crescita economica bassa. L’originalità del disastro è sul lato fiscale: proprio ieri l’Ocse ricordava come in Italia la pressione sia la più alta tra i Paesi esaminati. Un sacrificio che ha compromesso il reddito disponibile dei contribuenti, ha reso la nostra crescita economica ancora più faticosa e per di più non ha minimamente contribuito a migliorare i bilanci.
Mentre Padoa-Schioppa era in volo per Washington, sede del Fondo, il governo dunque ballava sui tesoretti degli italiani a ostriche e champagne. Regalava, come visto, promesse inattuabili ai giovani di oggi e comprava così con l’assenso di sindacati e Confindustria qualche altro mese di vita. Nel frattempo in Parlamento si capiva che una delle altre labili promesse di risparmio, e cioè quella di unificare tutti gli enti previdenziali in un solo organismo, veniva meno. Tanto per completezza, il solo funzionamento dei diversi enti previdenziali costa 6 miliardi di euro l’anno. Ebbene in questo clima conforta poco sapere «che la concertazione produce risultati», come trionfalisticamente ha notato il ministro del Lavoro, Cesare Damiano.