È la madre di quella “dittatura delle minoranze” che annichilisce la governabilità dell’Italia. Veltroni mente sapendo di mentire, quando evoca una sorta di unione dei volenterosi per una riforma costituzionale che restituisca lo scettro della decisione alle istituzioni. Veltroni è lo stesso uomo che solo un paio d’anni fa si unì senza battere ciglio all’infame campagna condotta dal centrosinistra per isolare e smantellare la riforma costituzionale approvata dalla maggioranza di centrodestra. Certo in solitudine, non per scelta bensì per necessità. Anziché collaborare all’impresa nei suoi passaggi parlamentari, il centrosinistra preferì demonizzarla con l’accusa cervellotica di tendere alla dittatura e alla distruzione dell’unità nazionale. Caso di patente malafede spinta fino al sacrificio dell’interesse pubblico per il tornaconto proprio.
Adesso Veltroni impugna, senza una parola di pentimento, la stessa bandiera calpestata ieri, e pretende di essere preso sul serio. Pretesa che tutto smentisce. Compresa la grottesca quadriglia inscenata sul Welfare, con Prodi che tradisce alternativamente gli impegni presi con i sindacati e quelli opposti assunti sotto dettatura della sinistra comunista. La quale oppone a sua volta la sovranità del Parlamento al potere sindacale, che ha sempre usato da testa d’ariete contro le istituzioni. Lo scopo evidente della commedia riformista inscenata dai baroni della sinistra non è la restaurazione del primato del principio di maggioranza nella decisione politica, ma la neutralizzazione della crescita del centrodestra nelle intenzioni di voto.
La proposta di una riforma elettorale e costituzionale bipartisan è l’erba trastulla di cui Veltroni si serve per guadagnare tempo e rinviare la resa dei conti elettorale a tempi per lui più propizi. Nessuno nel centrodestra può essere tanto masochista da prestargli orecchio.