di Fabrizio Cicchitto
La discussione sul Partito Democratico sta provocando consensi e dissensi di tipo “trasversale” e ciò va registrato oggettivamente, non polemicamente. Un consenso nel centro destra, quello di Giuliano Ferrara, a mio avviso è in primo luogo una testimonianza di fantasia politica e di curiosità nel senso positivo del termine per qualunque cosa di nuovo emerga in un sistema politico in crisi. C’è poi un’altra ragione più di fondo: Giuliano ha sempre stabilito un rapporto con un leader, non con un partito: così Giuliano fu con Craxi, mai con il PSI in quanto tale; adesso Giuliano Ferrara è, sia pure a modo suo e criticamente, con Berlusconi, ma ha sempre guardato con distacco Forza Italia come partito. Per altri, nel centro-destra, la “simpatia” per il Partito Democratico è invece un modo indiretto per prendere polemicamente le distanze dallo stesso Berlusconi e da Forza Italia così come adesso è o è diventata. Tutte posizioni legittime, dal punto di vista del dibattito. Ma passiamo alla sostanza. Nel merito, chi scrive è in totale dissenso da questi entusiasmi per il Partito Democratico, sia per come è nato e si è strutturato, sia per la sua leadership, che è quella di Veltroni.
Non è tutto oro quello che riluce grazie ad una martellante campagna di stampa e di televisione: ad un certo punto dello svolgimento delle primarie sembrava che in Italia fossero in corso le elezioni politiche nazionali, e che ad esse si fosse presentato un partito unico, il Partito Democratico, con tre candidati: uno straripante Veltroni, e due figli di un dio minore, Bindi e Letta, consentiti per dimostrare che si trattava di un suffragio democratico. Detto questo, aggiungiamo anche che non crediamo ai quattro milioni di Prodi, né ai tre milioni di Veltroni, pur ritenendo comunque elevata una partecipazione a metà di queste cifre. Però dai quattro milioni di Prodi è iniziato il processo a cascata che ha provocato la formazione del Partito Democratico: da un lato D’Alema e Fassino, dall’altro Marini e Rutelli hanno avuto timore di essere travolti dal consenso della primarie per Prodi e hanno dato via libera al processo di formazione del Partito Democratico. Poi sono avvenuti due fatti in origine imprevedibili: Prodi al governo ha fallito sia come leadership personale, sia come espressione di una coalizione fondata sull’intesa fra sinistra riformista – centrista e sinistra radicale: i fatti stanno quotidianamente dimostrando che quella coalizione non funziona qualunque sia il leader che la guida, Prodi o Veltroni o pinco pallino.
A nostro avviso non è vero che il centro-destra è in ritardo di fronte alla formazione del Partito Democratico. Purtroppo è troppo in anticipo: è in anticipo di circa 14 anni, perché il corrispettivo del Partito Democratico, a suo vantaggio, è Forza Italia, un partito a guida carismatica e presidenziale, nato per coprire il vuoto provocato dalla distruzione per via mediatico-giudiziaria dei cinque partiti liberal-democratici (una sorte di golpe bianco avvenuto negli anni ’92-’94). Un partito che nel corso del tempo ha aggiunto alla leadership carismatica una configurazione interclassista (Forza Italia ha come iscritti e come votanti piccoli imprenditori, artigiani, commercianti, professionisti e una quota molto rilevante, specie al Nord, di lavoratori dipendenti e di classe operaia) e pluriculturale (per intuizione di Berlusconi in essa convivono felicemente cattolici, liberali socialisti riformisti).
Ma torniamo al centro-sinistra. Come ha affermato esplicitamente qualche anno fa Michele Salvati, uno degli “inventori” intellettuali del Partito Democratico, esso nasce proprio, nell’ambito dell’Ulivo, per creare il corrispettivo di Forza Italia, in modo da rafforzare le componenti moderate e riformiste. Come è avvenuta questa operazione? Qui veniamo ai dissensi più di fondo. Noi possiamo essere d’accordo sulle primarie se esse si svolgono regolamentate come in America (dove è prevista l’iscrizione preventiva dei cittadini alle liste dei Democratici e dei Repubblicani) e se esse vengono convocate per designare in occasione delle elezioni il leader di uno schieramento da candidare come Presidente. Totalmente diverso, a mio avviso, è il discorso riguardante l’elezione del segretario o del presidente di un partito.
Non c’è dubbio che da questo punto di vista, in linea di fatto, siamo di fronte ad una situazione incomparabile fra centro-destra e centro-sinistra. Berlusconi è infatti il fondatore di Forza Italia, è stato lui a inventarla e a costruirla. Invece i DS e la Margherita sono l’espressione terminale di due storie, quella dei post-comunisti e quella della sinistra democristiana. Per fare un partito nuovo, in simili condizioni, si sarebbe dovuto da un lato definire un manifesto politico-culturale che superasse realmente quelle due storie e quelle due culture assai diverse, dall’altro lato avrebbe dovuto esserci un confronto sulla leadership che si fondasse su un aperto dibattito politico.
Nulla di tutto ciò è avvenuto. Il manifesto costitutivo del nuovo partito non supera nulla, è vacuo e generico. Né c’è stato alcun aperto confronto politico fra candidati, anzi è avvento esattamente il contrario. DS e Margherita hanno scelto le primarie proprio per coprire questo vuoto: l’operazione, a quel punto, andava fatta ad ogni costo, e per farla bisognava evitare ogni dibattito politico vero e reale. Solo in questo modo le primarie sono servite allo scopo. Paradossalmente, coloro che in questi anni hanno predicato contro la “deriva plebiscitaria” di Berlusconi, l’hanno poi cavalcata fino in fondo proprio nella costituzione del nuovo partito. Non è, poi, che vicende come quella sulle intercettazioni telefoniche non abbiano esercitato alcun ruolo: la candidatura unica per i DS di Walter Veltroni (per eliminare le candidature di Bersani e della Finocchiaro il centralismo democratico ha dato l’ultima prova della sua efficacia) nasce anche da quella vicenda “provvidenziale”. E nelle primarie non si è più parlato di politica, di storia, di valori, ma di facce, di età, di sesso.
Al di là di quanto si cerca di far credere propalando una versione dei fatti troppo “angelicata” e spontaneista, dietro il ticket Veltroni-Franceschini si è mosso in realtà il grosso degli apparati dei due partiti; dietro la Bindi e Letta, alcuni spezzoni di essi. Tutti loro hanno avuto inoltre alle spalle i vari associazionismo collaterali. A questa azione “organizzata” e pesante si è poi aggiunta indubbiamente la partecipazione spontanea.
Non è possibile affermare che il nuovo partito nasce vergine dalla “vecchia politica”: la connessine fra la nomina del segretario nazionale e quella dei coordinatori regionali ha comportato anche una lottizzazione di questi ultimi (dodici agli ex DS, otto alla Margherita). Il risultato di tutto ciò qual è, o quale può essere? In primo luogo che l’apparato di Veltroni (che non è caratterizzato dalla verginità anticorrentizia e antipartitica alla quale credono solo alcuni ingenui neofiti del centro-destra), guidato dall’operoso senatore Bettini, ha oggi una preminenza su tutta “la macchina” del nuovo partito. Nella combinazione fra spontaneismo e organizzazione, quel tanto di struttura organizzata dei DS rimasta in campo di fatto ha “tritato” la Margherita. Però, come dice Don Gianni Baget Bozzo, per evitare la aborrita socialdemocratizzazione, i post-comunisti si sono “democristianizzati”, nel senso che il nuovo partito, che non ha inventato una “nuova cultura politica”, invocata da Alfredo Reichilin, in compenso ha messo in soffitta entrambe le sue culture storiche, ed è oggi in campo come dura e concreta organizzazione del potere politico, assicurando e sommando quello nazionale, quello regionale e quello comunale.
A sua volta a tutto ciò si aggrappa Prodi per sopravvivere. Veltroni è il leader giusto perché, partendo dalle disgrazie capitate agli altri leader dei DS, egli è Zelig, tutto e il contrario di tutto: in questo senso la rappresentazione che Crozza sta proponendo in televisione è una vera analisi politica.
Il centrodestra deve imitare tutto questo? Mi permetto di esprimere un diverso parere. In primo luogo non credo ai partiti liquidi, senza iscritti, che vengono gestiti a colpi di primarie che si fanno ogni tre anni. Paradossalmente Forza Italia, nel corso di questi anni, ha seguito un percorso che adesso sarebbe un grave errore stravolgere per inseguire le “novità” del Partito Democratico. Il carisma di Berlusconi è qualcosa di ben diverso dal mimetismo mediatico di Veltroni. Partendo da esso, però, nel corso di questi anni è stato costruito un partito sul territorio, con iscritti, eletti, riferimenti sociali, che aggiorna e adegua ciò che hanno fatto tanto tempo fa la DC e il PSI. Intorno a questo partito, con i suoi pregi e i suoi difetti, si sta aggregando poi la multiforme realtà dei circoli, anche in concorrenza fra di essi e con la stessa Forza Italia: ben vengano sia la convergenza sia la concorrenza. Smontare tutto ciò, proprio adesso che indubbiamente si apre una serrata concorrenza al centro con il Partito Democratico nel quale è serpeggiante la crisi della Margherita, per rincorrere le suggestioni e le provocazioni del “partito liquido” e del “partito senza tessere”, a mio avviso sarebbe un gravissimo errore politico e un inutile favore fatto a Veltroni. Diversamente da Giuliano Ferrara, che, come abbiamo visto, segue una sua logica di grande battitore libero, chi polemicamente propone tutto questo dall’interno di Forza Italia sembra giocare al peggio, ironizzando all’improvviso su tutto ciò che è stato fatto in questi anni.
Il Partito Democratico vanta l’esistenza di sondaggi che lo danno al 27-28 per cento, e potenzialmente più in alto. Forza Italia ha raggiunto il 27 per cento dei consensi sul terreno, per lei più ostico, alle recenti elezioni amministrative (non parliamo di sondaggi): screditare questo complesso capolavoro ideato da Berlusconi e poi rafforzato da migliaia di persone che fanno politica sul territorio sarebbe peggio di un errore, sarebbe un atto di masochismo.
Detto questo, rimane aperto il discorso sul Partito delle Libertà. Ma esso può aggregarsi solo a due condizioni: che avvenga sotto l’insegna del Partito Popolare Europeo, e che coinvolga, oltre Forza Italia, anche l’UDC e AN. L’attuale diniego dell’UDC sconsiglia, fino a quando non venga superato, a realizzare un partito unico solo con AN, e spinge invece verso la Federazione e l’Officina per il programma. Infatti nell’immediato sono essenziali due cose: che il governo Prodi cada e che il centro-destra definisca un programma positivo, fondato su scelte precise e credibili: bisogna passare quanto prima dal cartello dei no a quello dei sì, fondato su una rigorosa e alternativa ripartizione delle risorse in funzione della crescita.