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 L'OBLIO E' MEGLIO DELLA MEMORIA? Data: 05/11/2007
Appertiene alla sezione: [ Politica ]
In Spagna, il Parlamento ha approvato una legge che rimuove i simboli del franchismo dagli edifici pubblici, definisce illegittime le sentenze dei tribunali istituiti dal regime di Franco, “restituisce dignità alle vittime della guerra civile”. Più recentemente la Chiesa romana ha solennemente celebrato in piazza San Pietro la beatificazione di 498 religiosi uccisi dai repubblicani. Non è la prima volta. Anche Giovanni Paolo II, verso la fine del suo pontificato, aveva reso omaggio in questo modo a un grande numero di preti e suore uccisi nelle stesse circostanze. Ma la coincidenza, anche se “puramente casuale”, come usa dire nelle avvertenze che precedono l’inizio di un film, produce l’effetto “duello”. Mentre Madrid riesuma il cadavere del franchismo e apre un processo postumo sulle sue responsabilità, Roma onora la memoria delle proprie vittime con un procedimento (la beatificazione in massa) che contiene in sé, implicitamente, il concetto di persecuzione ed è quindi, anch’esso, un processo ai “carnefici”.

Questi episodi non sono isolati. Una commissione parlamentare americana ha approvato una risoluzione che definisce genocidio il massacro degli armeni. Una Camera del Parlamento francese ha approvato una legge che ne punisce la negazione. Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha proposto una legge europea dello stesso tenore per il genocidio degli ebrei. Più recentemente il presidente francese Nicolas Sarkozy ha ingiunto agli insegnanti di leggere in classe la lettera di un giovane comunista, condannato a morte dai tedeschi, che si congedava dai genitori e dalla vita. Qualche mese prima, appena eletto, aveva partecipato alla inaugurazione di un monumento, nel centro di Parigi, alla memoria degli schiavi liberati dopo l’abolizione della tratta. Nel primo dopoguerra le città europee si riempirono di monumenti agli eroi, ai condottieri, ai caduti per la patria, al soldato ignoto. Oggi si vanno riempiendo di “memoriali” costruiti per onorare le vittime, come quello dell’Olocausto a Berlino che occupa una intera piazza della capitale tedesca. Può addirittura succedere che un monumento venga rimosso per lasciare il posto a nuove memorie. E’ accaduto a Tallin, in Estonia, quando le autorità hanno deciso di trasferire in un cimitero la statua del soldato sovietico, erette per celebrare la vittoria contro la Germania.

La memoria è diventata un grande campo di battaglia dove i combattenti si
accusano a vicenda, si lanciano anatemi, pretendono risarcimenti finanziari
e indennizzi morali, esigono soprattutto che gli eredi dei colpevoli assumano sulle proprie spalle le responsabilità dei padri e chiedano perdono. Il fenomeno cominciò dopo il processo Eichmann quando la cattura del funzionario nazista ripropose il genocidio ebraico all’attenzione del mondo. Ma fu enormemente favorito dalle rivoluzioni studentesche della fine degli anni Sessanta quando la guerra del Vietnam, la rivoluzione culturale cinese e i movimenti rivoluzionari dell’America Latina crearono una nuova “voglia di rivoluzione”. Per meglio giustificarsi e legittimarsi, i nuovi rivoluzionari decisero di processare i padri e le loro colpe: imperialismo, colonialismo, fascismo, nazismo o, più semplicemente, indifferenza, attendismo, complicità. E non appena le comunità ebraiche riuscirono a ottenere risultati tangibili, il fiume della memoria europea cominciò a ingrossarsi con gli affluenti di altre tragedie dimenticate: i polacchi, i baltici, gli ucraini, gli armeni, gli istriani, le popolazioni caucasiche, i tedeschi cacciati dalle loro case alla fine del conflitto, i morti di Dresda e gli annegati della Gustloff, la nave carica di profughi che fu affondata da un sottomarino sovietico. Caduto il muro di Berlino, nuovi muri, invisibili ma non meno efficaci, hanno cominciato a dividere le memorie degli europei. Anziché promuovere nuove leggi, esigere nuovi mea culpa e beatificare nuove vittime, occorrerebbe riconoscere che l’oblio, in molte circostanze, può essere più utile della memoria.Sergio Romano

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