La questione sicurezza è sfuggita di mano al governo e ai dirigenti del centrosinistra, che oscillando tra buonismo ideologico e fermezza - come ha denunciato ieri il ministro Parisi - hanno scavato un pericoloso solco con il Paese.
Il decreto-blitz imposto da Veltroni a Prodi dopo l’orrore di Tor di Quinto, per mascherare con un colpo d’immagine anni di colpevole quiescenza di fronte al dilagare dei clandestini nelle periferie romane, ha provocato l’ennesima fibrillazione dentro l’Unione. Il malpancismo di Rifondazione è palese, e sta inondando le pagine di Liberazione, il quotidiano di un partito che sembra sempre più lontano dalla linea governista imposta da Bertinotti.
La decisione di aprire un dibattito sulla scomodissima domanda: "Che ci stiamo a fare in questo governo?", è stata presa per dar voce a sentimenti assai diffusi fra i militanti, nei quadri intermedi e nella sua stessa base parlamentare. Mercoledì sera i ministri della sinistra radicale hanno dovuto ingoiare in silenzio il decreto sulle espulsioni, ma solo per pura "lealtà di governo". Ed è stato Bertinotti in persona ad intervenire sui suoi per dettare la linea da tenere: una dissociazione in quel frangente avrebbe infatti potuto innescare una crisi senza ritorno nella maggioranza, e il momento non lo consente.
Bertinotti non vuole che il governo cada ora, anche per una ragione tutta interna alla sinistra: il rischio di precipitare verso elezioni anticipate è altissimo, e le elezioni sarebbero la pietra tombale (con questa legge elettorale) sul progetto che più sta a cuore al presidente della Camera, quello cioè della "Cosa rossa" che riunifichi le anime di sinistra della coalizione. Ma i continui diktat di Veltroni, e la sua forza politica che appare straripante nei confronti di un governo debole e diviso, difficilmente potranno essere tollerati a lungo dall’ala massimalista della coalizione, che su temi come l’ordine pubblico rischia di compromettere i suoi legami con l’arcipelago no global e movimentista.
La realtà è che Rifondazione, Verdi e Pdci sono stati messi all’angolo su un tema che nelle grandi città italiane (basti pensare a Bologna o al caso dei lavavetri a Firenze) sta causando rotture insanabili dentro il centrosinistra. E lo scontro, tanto per non cambiare copione, si sposta nell’arena di Palazzo Madama, dove molti senatori di Rifondazione hanno già fatto sapere che non voteranno il decreto senza sostanziali modifiche.
Ma la questione espulsioni è solo l’ultima goccia di un vaso che rischia di traboccare: la bocciatura della commissione sul G8 ad opera di Di Pietro, l’annuncio di Dini che non voterà l’emendamento sulla sanatoria per i precari della Pubblica amministrazione (che secondo il Prc è "l’unica iniziativa di sinistra di questa finanziaria") e ora il decreto imposto da Veltroni sono tutte viste come provocazioni contro Rifondazione, con l’obiettivo di indurla a prendersi sulle spalle la responsabilità della crisi di governo.