Da Il Corriere della Sera di oggi, prima pagina, a firma Piero Ostellino
Titolo: “La sicurezza a singhiozzo. Il caso Romania e il decreto del governo”
È finita con la vittoria dell'Italia (minoritaria) - di Romano Prodi e della sinistra radicale - che pensa di poter convivere con le baraccopoli e di gestire in modo indolore l'immigrazione irregolare, sempre ai confini, se non oltre, del crimine, e la sconfitta dell'Italia (maggioritaria) di Walter Veltroni, della sinistra riformista e della stessa opposizione, che avrebbe voluto un'applicazione più stringente delle direttive dell'Unione Europea in materia di immigrazione. Sarà espulso solo chi delinque o rappresenta, genericamente, un pericolo per la convivenza civile, a giudizio della magistratura ordinaria, invece di chi, entro tre mesi, non riesca a dimostrare di avere un domicilio e un lavoro, a giudizio del giudice di pace. Una misura, quella adottata, già presente nel Codice penale - ci mancherebbe che non fosse punito chi delinque - o nelle disposizioni generali di ordine pubblico. Ha vinto la Romania - che, di fatto, espelle i propri delinquenti, sottoponendoli alla sanzione di leggi più severe delle nostre - e ha perso l'Italia che li accoglie con il lassismo della sua classe politica, con le proprie leggi, pasticciate e contraddittorie, con una magistratura troppo propensa all'indulgenza. Si è sacrificato il rigore del «governo della Legge» all’ambigua esigenza di salvare gli equilibri del governo degli uomini. Non è stato un bello spettacolo.
Eppure, era cominciata con un successo dell’Italia che, a fine partita, ha perso. Veltroni, dopo l'efferato assassinio di Tor di Quinto, era riuscito nella sua prima uscita importante da neosegretario del Partito democratico a imporre al governo un decreto d'urgenza sulla sicurezza in luogo del disegno di legge che si trascinava stancamente in Parlamento. Era proseguita con la disponibilità dell'opposizione a non respingere per principio l’intero decreto del governo, ma a collaborare con la maggioranza in Parlamento attraverso qualche emendamento che ne avrebbe rafforzato la portata. Ma, nella prospettiva di un accordo bipartisan, il presidente del Consiglio aveva opposto subito, nei confronti dell'opposizione, un radicale «facciano quello che vogliono »; come dire «da parte mia, farò quello che reputo conveniente» (salvo precisare ora di aspettarsi proposte concrete). Si è conclusa come ha illustrato il nostro Giannelli nella vignetta di ieri. Con Prodi che, davanti al presidente romeno, si sveste della sua precedente condizione di poliziotto armato di tutto punto.
La direttiva dell'Unione Europea si presta all’equivoco là dove il principio di legalità - l'espulsione, per legge, se entro tre mesi non si prova di avere un domicilio e un lavoro - si scontra con quello di legittimità, il diritto naturale dell'Individuo di non essere sanzionato se non in presenza di un reato. Da noi, con l'articolo 13 della Costituzione sulla libertà personale. Su questa ambiguità ha giocato la sinistra radicale, presentandosi come garante dello Stato di diritto di fronte a possibili arbitrii del potere esecutivo. Il rischio, in queste circostanze, era che si sacrificasse una libertà - quella dell'immigrato in via di espulsione - in nome di un'altra, il diritto alla sicurezza dei cittadini italiani. Ma, in uno Stato che voglia dirsi liberale, c'è sempre una gerarchia di valori, per quanto incommensurabili, con la quale bisogna che il governo pur faccia i conti. Invece, è esattamente ciò che il presidente del Consiglio ha mostrato di non voler fare, arroccandosi in una decisione tanto equivoca quanto utile solo a se stesso. E che lascia le cose come stavano. Molto rumore per nulla.