Se mai ci fosse stato bisogno di un’ulteriore prova della sciagurata disinvoltura con cui il governo Prodi sperpera le risorse pubbliche, spesso a beneficio dei suoi amici e famigli, la vicenda dell’articolo 91 della finanziaria è esemplare e illuminante.
Questa norma – che ha provocato pericolose fibrillazioni nell’esecutivo e nella maggioranza – avrebbe voluto limitare le retribuzioni dei dirigenti pubblici, ponendo come tetto massimo 274 mila euro lordi all’anno, lo stipendio del presidente della corte di Cassazione.
Ad ispirarla, ovviamente, è stata la sinistra radicale e Prodi è stato ben lieto di inserirla nella manovra, per dar prova di rigore e per dimostrare di essere deciso a usare la scure anche con i manager contigui o compresi nella “casta”. Il limite si sarebbe dovuto applicare ai compensi di tutti coloro che lavorano nello Stato o nelle società ad esso collegate.
Con questa formulazione, l’articolo 91 avrebbe toccato in maniera rilevante gli interessi immediati e diretti di centinaia, forse migliaia di persone, che hanno subito reagito. Mugugni, proteste, le star della Rai che insorgono ed ecco la prima “mutazione” del provvedimento minaccioso: vengono esclusi dal tetto “i contratti d’opera aventi per oggetto una prestazione artistica o professionale indipendente indispensabile per competere sul mercato”.
Si salvano così i compensi di personaggi come Baudo, Santoro e di tanti divi. E gli altri? A difenderli ci pensa Mastella, che minaccia di non votare l’articolo. Alla protesta pubblica del Guardasigilli certamente si sono unite le manovre sotterranee di tanti dirigenti che il governo e l’Unione, nell’ansia di arraffare tutto, ha piazzato nei posti di potere e di sottogoverno. Si arriva così alla seconda mutazione, formalizzata all’alba di ieri.
Un ritocchino e dal famigerato tetto sono esclusi coloro che abbiano contratti di diritto privato in corso alla data del 28 settembre 2007; sono salvati in tal modo i presidenti di Enel ed Eni. Questa modifica è stata dettata anche dal timore delle cause che tanti manager e dirigenti avrebbero intentato e vinto. Non basta. Dal tetto sono esclusi gli stipendi di tutte le Autorità, a cominciare dalla Banca d’Italia.
Di tutto, di più: vengono salvati dalla scure anche “25 unità, corrispondenti alle posizioni di più elevate responsabilità”: s’immagina che ci si voglia riferire ai dirigenti di vertice dei ministeri, al capo della polizia, ai comandanti generali dei Carabinieri e della Guardia di finanza, ai responsabili delle diverse agenzie pubbliche (fiscali in primis), ai responsabili delle società collegate ai tanti ministeri. La marcia indietro dei finti sostenitori del rigore si è completata con un ulteriore ritocchino all’articolo 91, che prevede anche la soppressione delle consulenze esterne nella pubblica amministrazione. Sono però escluse dalla soppressione dei contratti e dal tetto dei 274 mila euro annui i consulenti “impegnati nella tutela ambientale, delle attività culturali, della salute pubblica, della pubblica incolumità”.
In questa ultima (per ora) versione, l’articolo 91 grazia quasi tutti i dirigenti, superburocrati ed esperti che erano stati inquadrati nel mirino. Il governo non dimentica la sua gente.
In poco più di 24 ore, la norma è stata stravolta e fa comprendere con quale mancanza di serietà e di responsabilità è stata impostata la finanziaria. L’analisi delle manovra sta svelando, giorno dopo giorno, che questo governo fa crescere la spesa pubblica con interventi a pioggia e regalie di vario genere, che non aiutano, anzi frenano, la ripresa e hanno il solo scopo di racimolare qualche briciola di consenso e di favorire il ceto clientelare vicino all’Unione. Il Professore dice di voler durare, ma sta facendo una finanziaria elettorale. E’ lui il vero e solo protagonista di una “campagna acquisti”. Coi soldi degli italiani.