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 INGIUSTIZIA: INDAGINI E SENTENZE AD EFFETTO Data: 15/11/2007
Appertiene alla sezione: [ Politica ]
C’è un giudice a Torino che ha negato il carcere a una banda di trafficanti legati alla ndrangheta perché “non ne vale la pena, con le nostre leggi uscirebbero subito”. Questo è soltanto l’ultimo atto di un libro di malagiustizia scritto dalla magistratura.
Ma è anche e soprattutto la conferma che la battaglia per la giustizia, di cui si sono fatti portavoce Berlusconi e il suo governo, non era dettata da un interesse personale, da una difesa per i suoi processi, bensì dalla consapevolezza che in Italia lo stato di diritto gode pessima salute.

Quando noi dicevamo queste cose, venivamo accusati dalla magistratura e dalla sinistra tutta di voler minare l’indipendenza dei giudici. Oggi qualcosa è cambiato e quella stessa sinistra, toccata in prima persona dalle vicende di D’Alema, Fassino, Mastella e Prodi, mostra i nervi scoperti: la speranza è che non sia per una personale difesa d’ufficio, ma che abbia finalmente preso coscienza sullo stato della giustizia in Italia, la cui responsabilità “impunita” è da addebitare al comportamento di singoli magistrati.

C’è stato un drammatico e pesante crescendo di comportamenti, sentenze e decisioni, prese spesso in contrasto con altri loro colleghi, che non trovano giustificazione nell’applicazione della legge bensì in un libero convincimento, che diventa libero arbitrio, di questo o quel giudice. Un miriade di episodi che chiamano in causa la preparazione e le capacità di singoli magistrati. Se anche la sinistra si convince finalmente che la magistratura è fatta di giudici buoni (i più) e di giudici meno buoni, forse siamo sulla strada giusta. Rinfreschiamoci la memoria.

•Il gip di Torino che nega il carcere a una banda di trafficanti, sostenendo l’inutilità, a causa delle leggi che dovrebbe applicare, di un provvedimento di carcerazione, inventa un nuovo principio giuridico e vanifica il lavoro dei carabinieri. C’è da aggiungere che il suo procuratore capo, Marcello Maddalena, che pure ha fatto ricorso, gli aveva fornito un buon appiglio quando con una circolare invitata i Pm a mandare avanti i processi solo in considerazione delle reali possibilità che questi avevano di arrivare a sentenza, senza chiudersi con una prescrizione.

•Le indagini infinite (e sbagliate): parliamo, sono solo i casi più recenti, dell’omicidio di Garlasco, della madre assolta per l’omicidio della sua bambina, del delitto di Perugia e di tanti altri. Tutte inchieste coordinate e guidate per legge da un magistrato, che troppo spesso si preoccupa di accendere i riflettori dei “media” sulla propria persona a discapito del proseguimento delle indagini. Emblematico il caso di Perugia, dove il gip soltanto 48 ore dopo il delitto comunicava alla stampa di tutti il mondo: “Il caso è risolto”. Una figuraccia.

•Chi è terrorista? Viene da chiederselo nel momento in cui questa accusa viene mossa a due ultras per gli incidenti di Roma. Soltanto lo scorso anno il gip Clementina Forleo mandava prosciolti alcuni islamici, che accusati di fare proselitismo per organizzare attentati in Iraq in nome di Al Qaeda, venivano definiti “guerriglieri” e pertanto non perseguibili.

•Magistrati e media. Il nostro è l’unico Paese occidentale nel quale le toghe sono ospiti fisse di talk show, lasciano interviste su inchieste in corso, partecipano a dibattiti pubblici, accusano e si difendono fuori dai consessi delegati a stabilirne le responsabilità. E’ l’onda lunga di tangentopoli.
È l’unico Paese in cui può accadere che un magistrato vada in trasferta a Bruxelles, partecipando a una manifestazione nel corso della quale un comico dichiara che “in Italia lo Stato è la mafia”, senza sentire il dovere, lui che è un pezzo dello Stato, di dissociarsene.
Che l’eurodeputato Fava se la sia presa con Grillo (che è un comico) piuttosto che con De Magistris (che è un magistrato) non è il migliore dei segnali.

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