di Luca Telese
Dal partito «di plastica», al partito «di popolo», o addirittura «di ghiaccio» come ironizzava la giovane coordinatrice dei giovani di Forza Italia Beatrice Lorenzin, dopo due giorni di gazebo a temperatura zero. Sicuramente è un percorso lungo e complesso, quello che porta Forza Italia a questa ennesima metamorfosi, oppure, per stare alle parole del suo fondatore alla sua rifondazione. Di certo, c’è qualcosa in questo percorso che ha un fattore vagamente sarkozyano che ricorda, insomma, il percorso di mutazione dell’Ump di Nicolas Sarkozy dal 2004 (quando il futuro premier prese in mano il partito del centrodestra francese) a oggi. C’è qualcosa di simile in questi due processi di evoluzione: Forza Italia nasceva dall’alto, intelaiata sulla vecchia struttura di Publitalia, in pochi mesi fra le fine del ’93 e le elezioni del 1994. Nasceva, sia nelle intenzioni dei detrattori, sia nelle rivendicazioni orgogliose dei suoi fondatori, in modo virtuale, con la palingenesi simbolica annunciata dal «kit del candidato» ovvero dalla valigetta preparata ad Arcore che conteneva materiali propagandistici, spillette, adesivi. Nasceva prima come idea di Berlusconi, poi come incarnazione di questa intuizione in una struttura militante. Il primo nucleo erano i «club», il primo elemento dirompente era l’idea che questo partito avrebbe fatto nascere intorno a sé un nuovo schieramento di centrodestra. Ed era così forte questa idea «coalizionale» che al Nord il cartello elettorale aveva un’alleanza con la Lega, e nel Centro Sud con Alleanza nazionale.
Allo stesso modo, l’Ump, nasceva nel 2002 per volontà di Jacques Chirac, addirittura con un altro nome, rispetto a quello definitivo: Union pour la majorité présidentielle ovvero Unione per la maggioranza presidenziale, anche qui con una indicazione chiara di un principio coalizionale prima ancora che di una identità politica. Fu proprio Sarkozy a partire dal congresso del novembre 2004, a rifondare questa identità e ad immergere quel movimento che era nato come un cartello di forze politiche (la Rpr gollista, l’Udf di Valéry Giscard d’Estaing e Démocratie Libérale) nell’Unione pour un mouvement populaire, ovvero Unione per un movimento popolare. Guarda caso lo stesso aggettivo a cui è ricorso ieri Silvio Berlusconi per dare una prima definizione del nuovo soggetto. Come se ci fossero sempre due tempi, nelle esigenze di una grande politica bipolare: da un lato l’affermazione di un principio di schieramento, dall’altro il radicamento capillare della propria forza. È così vera questa cosa per Forza Italia che viene in mente quell’esclamazione strappata dalla sorpresa, il 12 giugno del 1994, a Bettino Craxi. L’ex leader socialista stava seguendo la giornata elettorale insieme al figlio Bobo nella sua casa di Hammamet. E quando aveva visto apparire la prima proiezione, con il risultato di Forza Italia, aveva esclamato: «Ho sbagliato tutto nella vita! Io ho lavorato trent’anni in un partito e ogni volta che guadagnavamo lo 0,5 per cento, facevamo i salti di gioia, brindisi e bandiere. Questo (ovvero Berlusconi, ndr) invece, nel giro di qualche settimana, passa da 0 al 20 per cento, e poi al 30 per cento. È un altro mondo. Io - concludeva malinconico l’ex premier socialista - mi sono mangiato mezzo stomaco per far avanzare il Psi di 3 punti in 15 anni». Ed anche questo era indubbiamente vero. Al culmine della celeberrima «onda lunga» Craxi era riuscito ad arrivare al risultato record del 14,5 per cento. Forza Italia non ha mai avuto un risultato sotto il 20 per cento, e ha sempre oscillato, nelle competizioni nazionali fra il 24 e il 30. Il partito azzurro, era considerato un miracolo anche dai suoi detrattori, ma per lungo tempo, una sorta di «emanazione catodica». Si pensava ad esempio, che gran parte del risultato del 1994 fosse determinato dall’uso degli spot televisivi, e da quello slogan fortunato «per un nuovo miracolo italiano». Dal gingle composto su parole del Cavaliere dal maestro Martelli, e Forza Italia... poi, già con il coordinamento di Claudio Scajola, era iniziato un primo tentativo di radicamento profondo, ma anche qui si era detto: «È solo un tentativo neo democristiano». Quando il decreto estivo di Massimo D’Alema nel 1999 proibì improvvisamente gli spot, si vide che non era così: Berlusconi mise in acqua la nave azzurra, la portaerei che gli consentì di vincere le regionali, malgrado qualche incidente a bordo e il famoso braccio rotto che Paolo Bonaiuti trasformò in un simbolo di stoica militanza. E poi, nella sfida contro Francesco Rutelli del 2001, ancora una volta fu Berlusconi a stupire tutti «riscoprendo» il più antico degli strumenti propagandistici, il manifesto elettorale, sia pure nel formato ciclopico 6X3 quello della grande esposizione pubblicitaria. Adesso, mentre il Partito democratico, erede di grandi apparati nazionalpopolari comunisti e democristiani, si lambicca nel dibattito se avere le tessere o meno, Berlusconi pianta i gazebo in tutte le piazze d’Italia (comprese quelle abruzzesi sepolte dalla neve) ed è dalla piazza che annuncia una nuova palingenesi, il grande Partito popolare. Chissà se gli andrà bene come è andata Sarkozy.