DANIELE MARTINI
Lo sconto sulle imposte comunali sulla casa previsto dalla Finanziaria rischia di avere vita breve. Con la revisione degli estimi e il passaggio ai comuni delle funzioni catastali c’è il rischio di una nuova stangata.
Con una mano do e con l’altra riprendo, possibilmente con gli interessi. Si ispira a questo elementare criterio di condotta la politica per la casa del governo di Romano Prodi. Mercoledì 7 novembre al Senato era il momento dell’elargizione: la maggioranza ha votato l’articolo della Legge finanziaria con cui viene ridotta l’Ici, l’imposta comunale sugli immobili, provvedimento voluto con tenacia dal vicepremier Francesco Rutelli e visto fino all’ultimo come il fumo negli occhi dall’associazione dei comuni (Anci).
La detrazione sulla prima casa è stata in pratica raddoppiata, tanto che al momento del pagamento Ici 2008 i proprietari potranno usufruire di uno sgravio fino a un massimo di 200 euro (finora erano 103). Non è roba da poco né per i contribuenti né per i comuni, che proprio con l’incasso dell’imposta sugli immobili (10 miliardi di euro l’anno in totale) tengono in piedi i loro bilanci. E non è un’inezia nemmeno per lo Stato centrale, che in un momento di ristrettezze finanziarie si impegna a coprire direttamente i minori gettiti locali attraverso la fiscalità generale.
A ben vedere, in mezzo a tanto miele, la maggioranza ha voluto inserire una punta di veleno escludendo dal beneficio delle detrazioni le abitazioni di lusso, operazione per certi versi ragionevole, ma finendo per considerare lussuose anche le case classificate A1 che spesso sono solo di tipo signorile, e ignorando un decreto legge specifico per la corretta individuazione delle dimore super.
Chiusa la votazione Ici, però, il governo ha immediatamente abbandonato la linea della prodigalità per tornare sulla strada consueta della spremitura, che per quanto riguarda gli immobili si basa su tre punti. Primo: la revisione degli estimi catastali affidata ai comuni, operazione che secondo un accurato studio della Confedilizia sulle scelte di 105 capoluoghi di provincia è il presupposto di una futura stangata (tabella a fianco). Secondo: la possibilità che grazie a questa revisione il catasto italiano sia radicalmente trasformato da reddituale in patrimoniale. E infine la mancata incentivazione fiscale a favore del sistema degli affitti.
L’operazione catasto del governo sta passando alla fase finale, ma procede come uno schiacciasassi da mesi con la maggioranza tutta intenta a camuffarne i contenuti sostenendo che avverrà a parità di gettito, cioè senza un aggravio per i contribuenti. Una buona intenzione che cozza con la natura stessa della manovra imperniata sul trasferimento del potere di imposizione dal centro a una miriade di soggetti periferici. L’idea di fondo è proprio quella di passare le funzioni catastali ai comuni lasciando che siano questi ultimi a scegliere in prima battuta se accettarle o meno e una volta ottenuta risposta affermativa concedendo agli enti locali una seconda possibilità di scelta sulla base di tre opzioni. Le prime due opzioni, A e B, consentono ai comuni di trattare le pratiche e collaborare con lo Stato, in particolare l’Agenzia del territorio, alla determinazione finale degli estimi; l’opzione C introduce, invece, uno sconvolgimento nel sistema in quanto sottrae totalmente allo Stato centrale la fissazione degli estimi per concederla agli enti locali.
Non è una differenza da poco perché in questo modo alle città viene lasciata carta bianca non solo per le aliquote, così come già oggi avviene sulla base di minimi e massimi imposti dallo Stato, ma anche per la determinazione della base imponibile. Il governo, in pratica, mentre da una parte abbassa l’Ici dall’altra spinge i comuni ad aumentarla. Le entrate di moltissime città dipendono in larga misura dagli immobili, in alcuni casi più del 50 per cento del gettito comunale complessivo proviene proprio da lì. È quindi ovvio che gli enti locali, pressati dalle ristrettezze e tentati dalla possibilità di migliorare i conti, alla fine cedano alla tentazione modellando l’imposta a loro uso e consumo, considerando l’Ici come un bancomat e infilandosi in un conflitto di interessi di proporzioni gigantesche.
A rimetterci saranno, inevitabilmente, i proprietari di case. Su 105 comuni capoluogo interpellati dalla Confedilizia, 82 hanno scelto di assumere le funzioni catastali e più della metà, con una popolazione di circa 9,5 milioni di abitanti (il 72 per cento del totale), hanno puntato sull’opzione estrema e dal loro punto di vista favorevole. Tra questi Roma, Milano, Torino, Bologna, Firenze, Cagliari, Verona.
Il trasferimento a livello locale della determinazione degli estimi, inoltre, conferisce ai comuni il potere costituzionalmente dubbio di poter incidere anche su tasse statali come quella di registro, di successione e sulle donazioni. Mentre tutto ciò avanza, procede inesorabile anche il tentativo di trasformare il catasto da reddituale a patrimoniale in base a un disegno di legge momentaneamente accantonato per dare la precedenza alla Finanziaria, ma che sarà ripreso al più presto.
Il terzo punto dell’approccio governativo alla casa riguarda gli affitti, praticamente dimenticati proprio nel momento in cui la crisi dei subprime americani, cioè dei mutui immobiliari concessi con manica larghissima a milioni di famiglie, allunga ombre inquietanti anche sui prestiti accordati in Italia, soprattutto quelli a tasso variabile. Negli Stati Uniti si calcola siano addirittura 5 milioni le famiglie costrette a rinunciare all’acquisto di un’abitazione per ripiegare sull’affitto; da noi i casi sono più limitati, secondo un rapporto Nomisma 300 mila famiglie sarebbero a rischio insolvenza, ma il fenomeno è del tutto simile.
Per il governo, però, è come se niente fosse successo. Dopo aver strologato per mesi sull’opportunità dell’introduzione di una cedolare secca sui redditi da locazione, cioè sugli incassi degli affitti, arrivata al dunque la maggioranza ha fatto cadere la proposta. La decisione è stata considerata così inopportuna dai rappresentanti dei proprietari di case che 24 organizzazioni del settore, dall’Unioncasa alla Confedilizia, dall’Associazione dei piccoli proprietari alla Federazione degli agenti immobiliari, spesso in polemica tra loro, questa volta hanno protestato con un comunicato comune fatto pubblicare come avviso a pagamento su molti quotidiani: «Perché ritorni l’affitto, con conseguente calmiere dei canoni» hanno scritto «deve ritornare la redditività dell’affitto, oggi azzerata dall’imposizione fiscale, locale ed erariale».