Come interpretare il famoso articolo 11 della Costituzione delle Repubblica italiana?
Quando si discute di politica estera e di missioni militari, la sinistra radicale tira di sovente fuori l'articolo 11 della nostra Costituzione. Così pure nella discussione della scorsa settimana, che ha portato alle dimissioni del governo Prodi, sono riecheggiate in Senato parole di opposizione alla guerra che rammentavano tale articolo. In realtà, è d’uopo sottolineare delle precisazioni su questo punto, soggetto alle interpretazioni più controverse. Inserito nella sezione concernente i principi fondamentali, l'articolo 11 recita: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Poche frasi, estremamente efficaci, il cui significato può essere compreso solo inquadrandole all'interno del periodo storico in cui esse, insieme alla Carta, hanno visto la luce.
L'Italia del 1948 è un Paese stremato, devastato da anni di guerra e profondamente marcato dall'esperienza del fascismo. E' evidente che, di fronte a tale catastrofe, il primo intendimento dei Padri costituenti fosse quello di cercare una formula che inibisse il ripetersi degli errori del passato, e desse all'Italia i mezzi per consentirle di partecipare alla costruzione di un nuovo ordine internazionale. L'interpretazione dell'articolo 11 più coerente con la sua origine storica è, quindi, quella secondo cui esso bandisce non qualsiasi uso della forza (come vorrebbero farci credere i falsi pacifisti dell'estrema sinistra), ma la sua espressione più grave, cioè la guerra di aggressione. Non a caso, esso si ispira al Patto Kellog-Briand del 1928, che enuncia il divieto della guerra e, in particolare proprio della guerra di aggressione. In un primo momento i costituenti avevano addirittura pensato di riprendere la stessa formula, ma poi, durante i lavori preparatori, il concetto di «condanna della guerra come strumento di politica nazionale» venne abbandonato perché quella espressione non aveva un senso chiaro e determinato, mentre la Costituzione si rivolge direttamente al popolo e deve essere capita. Un'altra conferma all'interpretazione storica viene dall'idea iniziale di utilizzare la formula «guerra di conquista», accantonata solo perché, l'Italia era uscita talmente malridotta dalla seconda guerra mondiale che prevedere anche solo la remota possibilità di guerre di conquista sarebbe stato un po' ridicolo.
Ma l'articolo 11 va inquadrato anche in un contesto internazionale più ampio. Alla base della sua definizione, infatti, non vi fu tanto il rifiuto della guerra tout court, quanto l'intendimento di trasferire tale questione sul piano internazionale. L'articolo, infatti, può essere considerato la base giuridico-costituzionale per l'adesione italiana alle organizzazioni internazionali (soprattutto l'ONU). In ambito della costituente, si volle sostenere la necessità di rivedere, senza rinnegarli, i concetti di Stato e sovranità nazionale, intravedendo l'esigenza di sostenere una politica sovranazionale. La prima proposta, durante i lavori in sede costituente, recitava: «L'Italia rinuncia alla guerra come strumento di politica nazionale e respinge ogni imperialismo ed ogni adesione a blocchi imperialistici. Accetta e propugna, a condizioni di reciprocità ed eguaglianza, qualsiasi limitazione di sovranità, che sia necessaria ad un ordinamento internazionale di pace, di giustizia e di unione tra i popoli». Questa formula, poi - come detto - superata per esigenze di chiarezza, manifesta in maniera evdente gli intendimenti dei costituenti: rinunciare alla guerra «imperialista» (come quella sostenuta dal fascismo), in favore della costruzione di una sopranazionalità. Sulla base di tali principi l'Italia ha partecipato attivamente alla costruzione dell'Europa e della PESD (Politica Estera e di Sicurezza Europea), ed ha aderito, nel dicembre del 1955, all'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Rimane una titubanza sull'impiego della forza armata in tutti quei casi in cui la violenza non assuma i contorni tecnici della guerra. Al di là della risoluzione numero 7-1007 del 16 gennaio 2001, adottata dalla Commissione Difesa della Camera dei Deputati, che non può ovviamente incidere su materia coperta da fonti costituzionali, rimane la prassi delle numerose missioni all'estero, dalle quali si nota che l'intervento del Parlamento è necessario per legittimare sotto il profilo del diritto interno l'invio delle Forze Armate all'estero deciso dal Governo (il coinvolgimento parlamentare deve essere richiesto anche per le operazioni che hanno luogo nel quadro delle organizzazioni internazionali di cui l'Italia fa parte: Nazioni Unite, NATO e UE). Insomma, sono trascorsi quasi 60 anni dalla redazione della Carta Costituzionale, ed oggi più che mai possiamo dire che il disegno dei Padri costituenti si è realizzato, con buona pace della sinistra pacifista. L'Italia partecipa a pieno titolo a numerose missioni militari (dall'Afghanistan al Libano, dall'Iraq al Kosovo), che sono sempre inquadrate in un contesto internazionale, ed ha un ruolo di primo piano, riconosciuto da tutti, nella realizzazione di un ordinamento mondiale di pace, di giustizia e di unione tra i popoli.Giuseppe PACCIONE