Ve la ricordate la reazione di Silvio Berlusconi quando gli chiedevano come mai il suo governo non fosse riuscito a realizzare questa o quella riforma? Con aria per un attimo sconsolata rispondeva “se Forza Italia avesse ottenuto il 51%...”
Ebbene da domenica pomeriggio il Cavaliere si sta attrezzando per raggiungere l'obiettivo, sull'onda degli 8 milioni di firme ottenuti dalla sottoscrizione per tornare al voto subito, ha rotto gli indugi e ha deciso di iscriversi all'esclusivissimo club dei partiti a vocazione maggioritaria rendendosi da subito disponibile al dialogo con l'unico altro socio cioè il Pd di Walter Veltroni.
Per alcuni la nascita del Partito delle libertà o Popolo della libertà è solo un'operazione di restyling, un cambio di denominazione per Forza Italia. Chi sostiene questa tesi è convinto che Berlusconi abbia fatto di necessità virtù: dopo la mancata spallata al governo era iniziato il processo ai suoi danni da parte degli alleati che chiedevano a gran voce un cambio di strategia e che si dimostravano disposti a discutere della riforma elettorale con Veltroni e con il centro sinistra, anche senza un Berlusconi sempre più isolato. Per sottrarsi al processo da un lato e all'isolamento dall'altro, il presidente di Forza Italia, con un autentico colpo di teatro, non solo si è reso disponibile al dialogo sulla riforma della legge elettorale, ma ha anche lanciato un nuovo partito. Con una mossa ha quindi scavalcato gli alleati aprendo al modello tedesco, evitato di ammettere il cambio di strategia, intercettato un certo sentimento di antipolitica da tramutare in consenso.
Per altri il Pdl non è frutto di tattica politica ma ha un orizzonte ben più ampio e preciso che porta Forza Italia a diventare l'asse portante di un partito che si richiama direttamente al Partito Popolare europeo e che punta, col tempo, ad annettere tutte le componenti moderate.
Forse hanno ragione entrambi. E' innegabile che il Pdl nasca da specifiche contingenze e dall'idea di un Berlusconi che, stanco di fare da mediatore tra le varie forze di una Cdl da tempo malconcia, decide di far pesare tutta la propria forza elettorale e la propria leadership lanciando un partito aperto a tutti ma di cui detiene saldamente il copyright. E' altresì vero che la nascita del progetto è solo stata accelerata dal particolare momento politico ma certamente non sarebbe stata possibile se Forza Italia non fosse saldamente inserita nell'alveo del PPE.
La scelta di Berlusconi di aprire il dialogo sulla riforma della legge elettorale rappresenta il primo fondamentale atto del Pdl. Archiviata di fatto la possibilità di andare subito al voto, il Cavaliere registra l'impraticabilità di una modifica minima della legge elettorale vigente e si dice disponibile a discutere del modello tedesco non solo perché sembra riscuotere il consenso di più partiti, ed è quindi quello che potrebbe essere più facilmente approvato, ma anche perché, l'applicazione del sistema proporzionale con sbarramento meglio si confà al nuovo corso “delle mani libere”.
L'approvazione di una legge elettorale ispirata al sistema tedesco porterebbe ad un quadro di scomposizione e ricomposizione delle forze politiche attualmente in campo. Oltre al Pd e al Pdl prenderebbero concretezza l'ipotesi della cosiddetta “Cosa bianca” (Bruno Tabacci ne ha già parlato), una convergenza di partiti di centro di ispirazione cattolica, Udc e Udeur innanzitutto con l'apporto di personalità come Bonanni o Monti, e si consoliderebbe il percorso comune della sinistra comunista, democratica e verde.
Ciò detto bisogna anche però essere realisti, nessuna delle forze attualmente o in fieri in campo è in grado di raggiungere da sola la fatidica soglia del 51% che gli consentirebbe di dar vita ad un governo monocolore, tanto più che allo stato pare essere esclusa dalla riforma la previsione di un premio di maggioranza. Si renderebbero quindi necessarie delle alleanze che mi rifiuto di pensare possano essere rimandate a dopo le elezioni. Se una cosa buona c'è stata in questa cosiddetta seconda Repubblica in completa decadenza è stata la chiarezza che regolava il rapporto tra elettori ed eletti, il cittadino votava una coalizione o un partito che di questa faceva parte e al tempo stesso ne sottoscriveva il programma e avallava la scelta del candidato premier. Questo è un patrimonio che considero irrinunciabile e se è innegabile che il bipolarismo italiano, così come lo abbiamo conosciuto, non ha risposto alle esigenze di governabilità e necessiti di un intervento è altrettanto innegabile che un sistema nel quale programmi e alleanze si decidono dopo il voto è inaccettabile. Al di là dei dissapori del momento, legati a questioni personali e alla mai sopita guerra dei leader che tanti danni ha fatto finora, la Cdl ha il dovere morale di fronte ai suoi elettori, qualunque sia il sistema elettorale che venga approvato, di rimettere insieme i suoi cocci, almeno i più importanti e di far valere la maggiore omogeneità ideologica rispetto alla sinistra, che rappresenta la sua vera carta vincente.
Restando fermo che nessun sistema elettorale sarà in grado di risolvere problemi che sono eminentemente politici, la situazione è molto fluida per non dire confusa nel centro-destra come nel centro-sinistra. Sullo sfondo rimangono il countdown per il referendum abrogativo sulla legge elettorale vigente e il governo che, c'è da giurarci, continuerà a vendere cara la pelle sia a un Berlusconi il cui obiettivo prioritario è tornare al voto ma anche ad un Veltroni che, nonostante le apparenze, è tutto proiettato al dopo Prodi e che non ci sta a farsi logorare ulteriormente. Staremo a vedere cosa succederà in attesa che si torni a parlare di politica. Quella vera.