QUESTIONARIO ELETTORALE DI STEFANO BRUSADELLI
Berlusconi e Veltroni puntano su un nuovo modello di voto per cambiare il sistema politico. Ecco perché hanno deciso di farlo, cosa hanno in testa e quali ostacoli devono superare.
Tedesco, spagnolo, Porcellum o Veltronellum? Come all’inizio degli anni 90, nella stagione dei referendum di Mario Segni, l’Italia deve masticare l’aramaico dei politologi. Mentre Silvio Berlusconi e Walter Veltroni hanno l’aria di voler mettere in cantiere sul serio la riforma elettorale e un nuovo referendum incombe a primavera, si caricano di drammatica rilevanza l’altezza d’una soglia di sbarramento, la consistenza di un premio di maggioranza, persino il perimetro di un collegio. Ma come ripete ai suoi studenti il costituzionalista Augusto Barbera, «la legge elettorale, in una democrazia, è come la legge sulla successione al trono in una monarchia». E dunque meglio aver chiaro di cosa si tratta. Magari attraverso le risposte alle 10 domande che tutti (o quasi) vorrebbero fare.
Perché c’è tanta voglia di cambiare legge elettorale?
Mai in Italia un sistema elettorale ha avuto meno fortuna di quello utilizzato alle politiche 2006. Basti dire che uno dei suoi ideatori, il leghista Roberto Calderoli, lo ha disconosciuto definendolo una «porcata», da cui Porcellum. Il sistema è proporzionale (cioè con rapporto fedele tra voti e seggi), con premio di maggioranza nazionale alla Camera e regionale al Senato. C’è quindi a Palazzo Madama la teorica possibilità di un pareggio, che si è puntualmente verificato.
L’Unione ha vinto in 13 regioni e la Cdl in 7, ma assai popolose e quindi con più seggi e premi più consistenti. Inoltre nel Porcellum le liste dei candidati sono bloccate, ossia non si può esprimere la preferenza. Sono i partiti, non i cittadini, a stabilire chi andrà in Parlamento.
Cosa si propone il referendum elettorale?
Promosso da 179 personalità (tra cui Giovanni Guzzetta, Segni e Barbera), il referendum punta a far sì che il premio di maggioranza non venga assegnato a coalizioni, ma al singolo partito più votato. Ciò costringerebbe i partiti a fondersi per dar vita a grandi formazioni, di dimensioni tali da poter aspirare al premio.
La consultazione dovrebbe tenersi tra il 15 aprile e il 15 giugno 2008, sempre che a gennaio la Consulta non dichiari (ma è improbabile) la incostituzionalità dei quesiti. Sarà invalidato se non andranno a votare la metà più uno degli elettori.
A chi fa paura il referendum?
Ai piccoli, dinanzi ai quali si presenterebbe lo scomodo dilemma di farsi assorbire in un maxipartito o rischiare l’estinzione. Per chi andasse da solo al voto ci sarebbero da superare soglie di sbarramento del 4 per cento alla Camera e dell’8 al Senato. Con i risultati del 2006 scomparirebbero da Montecitorio Udeur, Verdi, Italia dei valori, Pdci e Rosa nel pugno. A Palazzo Madama la pattuglia si allargherebbe anche a Rifondazione, Lega e Udc. Insomma, un’ecatombe.
Per lo stesso motivo il referendum piace ai grandi (Pd e Forza Italia) e anche ad An, perché spingerebbe a costruire quel partito unico del centrodestra che è nei piani di Gianfranco Fini, anche se non nei tempi e nei modi oggi proposti da Berlusconi.
Come si può evitare il referendum?
Solo in due modi. Il primo è cambiare la legge sulla quale la consultazione si appunta. Il secondo è fissare elezioni politiche nella stessa stagione nella quale è previsto il referendum. In tal caso esso viene rinviato di un anno. Occorrerebbe quindi sciogliere in anticipo le Camere (non oltre l’inizio di marzo), per poter andare a elezioni anticipate primaverili.
Perché Romano Prodi e Veltroni hanno deciso di accelerare i tempi per la riforma della legge elettorale?
Per Prodi aprire un tavolo per la riforma vorrebbe dire rendere improbabile il voto nel 2008. Un eventuale accordo difficilmente potrebbe arrivare prima di marzo-aprile, cioè fuori tempo massimo per organizzare elezioni in primavera. E alla riforma elettorale sarebbe naturale agganciare riforme costituzionali (per esempio la riduzione del numero dei parlamentari o il Senato delle regioni) che allungherebbe ulteriormente il brodo.
Per quanto riguarda Veltroni, l’interpretazione è più difficile. Secondo alcuni il suo vero obiettivo è il referendum, ma per arrivarci senza urtare gli alleati deve dimostrare che tutto è stato tentato prima di arrendersi all’impossibilità di una riforma. Per altri il proporzionale gli appare un buon sistema per liberarsi della sinistra radicale. E infine anche lui ha bisogno di tempo per far decollare il suo Pd.
Perché ora anche Berlusconi apre al dialogo?
Premesso che la disponibilità di Berlusconi è limitata al sistema tedesco (vedere la voce seguente), ed è condizionata alla prospettiva di votare presto, è chiaro che non poteva farsi escludere da un tavolo al quale erano già pronti a sedersi i suoi alleati. La mossa è anche un messaggio minaccioso rivolto a Pier Ferdinando Casini e a Fini. Al primo il Cavaliere sottrae il monopolio del dialogo con Prodi e con gli altri ex dc dell’Unione; a danno di Fini evoca una grande coalizione (resa possibile dal meccanismo germanico) che renderebbe marginale An. Inoltre in ogni sistema proporzionale puro l’incarico di formare il governo spetta al partito di maggioranza relativa; che con ogni probabilità sarebbe quello guidato da Berlusconi.
Cos’è il sistema tedesco?
È un proporzionale mascherato da maggioritario. Ogni elettore esprime due voti: con uno sceglie una lista, decretando quanti seggi spetteranno a ciascun partito. Con l’altro sceglie un candidato nel proprio collegio maggioritario. Per «riempire» la quota spettante ai vari partiti si prendono prima i vincitori nei collegi maggioritari, poi si comincia a pescare dalle liste bloccate.
Le altre due caratteristiche sono una soglia di sbarramento al 5 per cento e l’assenza di un premio di maggioranza, ossia dell’unico sistema che obbliga a prestabilire le alleanze. È quindi possibile (come nella grande coalizione tra Spd e Cdu guidata da Angela Merkel) che partiti avversari in campagna elettorale poi stringano un’alleanza. Per questo il tedesco è inviso ai bipolaristi doc come i prodiani, i referendari e i finiani.
Piace invece a Rifondazione, perché obbligherebbe i «nani» di sinistra (Verdi, Pdci, Sd) a dar vita alla Cosa rossa onde superare la tagliola del 5 per cento. E piace all’Udc perché potrebbe farne l’ago della bilancia.
Per i grandi (Fi e Pd) il vantaggio sta nel fatto che l’assenza del premio di maggioranza non li obbliga a fare ammucchiate eterogenee, come è capitato all’Unione che conta ora 11 partiti. Ciascuno con il suo ultimatum quotidiano.
Cos’è il sistema spagnolo?
Un proporzionale con collegi molto piccoli. Più i collegi sono piccoli, meno candidati vi si eleggono e quindi più voti ci vogliono per conquistare un seggio. In tal modo in Spagna sono rimasti in vita solo tre partiti nazionali: il Psoe, il Pp e l’Izquierda unita.
Su cosa si sta trattando in questi giorni?
Veltroni ha offerto un mix fra tedesco e spagnolo: proporzionale, collegi piccoli, niente premio di maggioranza, scelta popolare degli eletti attraverso collegi maggioritari. A causa dei microcollegi funzionerebbe una soglia di sbarramento oscillante tra il 6 e l’8 per cento. Almeno in teoria, è un sistema che dovrebbe accontentare parecchi: dà più forza ai grandi partiti lasciandoli con le mani libere, aiuta la Cosa rossa, risparmia Lega e (forse) Udeur che in Lombardia e Campania riuscirebbero comunque a ottenere una manciata di seggi.
Quante sono le possibilità di un accordo?
Non superano il 50 per cento. Tutti i piccoli partiti sono preoccupati dalla soglia ombra del Veltronellum, da loro giudicata troppo alta. Ma Berlusconi e Veltroni non sono disposti a concedergli più di tanto, per non vanificare l’effetto semplificazione. Se no, meglio puntare sul referendum, anche col plauso di An. Senza contare che sposando il proporzionale Veltroni e Berlusconi intravedono approdi diversi: il primo (come Prodi) è allergico a ogni ipotesi di grande coalizione; il secondo (forse in segreta sintonia con Massimo D’Alema) non la esclude.