A ogni affermazione di buon senso, tecnicamente e politicamente ineccepibile, seguono lo stupore e anche l'indignazione. Il presidente Berlusconi spiega che la sfida dev'essere tra due grandi partiti, e immediatamente partono i distinguo, gli allarmi, le messe in guardia.
Legittima difesa, forse, ma difesa ottusa, antistorica. Cosa dovrebbe essere se non un confronto tra due grandi partiti un sistema che voglia semplificare il gioco politico, e garantire non solo la vittoria elettorale, ma anche la governabilità successiva, come non è accaduto in questi tredici anni di tentata Seconda Repubblica? Tanto più se il sistema di voto dovesse essere, pur con i necessari correttivi, quello alla tedesca? Perché stupirsi e allarmarsi del fatto che il presidente Berlusconi abbia deciso di dire basta a un meccanismo bloccato, che genera mostri come il governo Prodi per avviarsi a una democrazia compiuta, funzionante?
Chi ha interesse a che un progetto di questo tipo non funzioni? E se c'è questo interesse, è evidente che va contro quello del Paese. Il gioco di alternanza tra due partiti, tra l'altro, risponde nei fatti anche alle preoccupazioni vere o strumentali delle vestali del bipolarismo. Scusate, ma quale migliore garanzia che vi siano due blocchi contrapposti che alle elezioni si giocano i consensi degli elettori, se non quella di avere due grandi partiti in grado di governare senza ricatti e condizionamenti?
Certo, ogni regola può e deve conoscere la sua eccezione. È quanto sta accadendo, appunto, a Berlino, a ulteriore conferma del funzionamento di un sistema serio incardinato su due grandi partiti divisi dalle idee e dai programmi, ma uniti dalla condivisione delle comuni regole di funzionamento dello Stato, che sanno anche, all'occorrenza, superare divisioni e incomprensioni se i numeri e le esigenze del Paese lo richiedono. Il che rientra esattamente nel Dna del grande progetto politico che il presidente Berlusconi ha lanciato.