Il confronto sulla legge elettorale, avviato dall’incontro tra Veltroni e Fini, è un giro di valzer a bordo del Titanic. Si balla sul presupposto dell’inaffondabilità del governo Prodi, in un mare di iceberg. Che fare in caso di naufragio è la domanda senza risposta che domina il confronto. Senza risposta perché il leader democratico non può prenderla in considerazione senza portare al parossismo il sospettoso presidente del Consiglio. Dunque ci si confronta fingendo di non vedere l’iceberg in avvicinamento con il proclama di Dini contro la pratica del tassa-e-spendi. È senza poter più fare assegnamento sulla sua esile maggioranza, che il governo va verso il voto decisivo al Senato sul protocollo del Welfare.
Quando Fini gli ha confermato di non aver cambiato avviso sull’esigenza che l’appello elettorale segua la caduta di Prodi come il giorno segue la notte, Veltroni non ha fatto una piega. Si è limitato a ripetere la giaculatoria: per il Pd il confronto sulle regole del gioco corre in parallelo rispetto alla durata del governo. Intanto, si finge che i due percorsi siano fatti per non incontrarsi, poi si vedrà.
Per il resto, aspettando l’incontro di venerdì con Berlusconi, le cronache giornalistiche rispecchiano la perplessità lasciata dall’apertura di gioco di Fini. La cui pregiudiziale (elezioni in caso di crisi) mal si concilia con la disponibilità ad allargare alla riforma istituzionale il confronto sulla legge elettorale. È dilatare al 2008 il tempo del valzer, come se l’iceberg non fosse sulla rotta del governo. Precisamente ciò che si aspettava Veltroni.
È nel merito del progetto di legge elettorale che Fini si è attestato su una posizione controcorrente. Identica – vedi la forza dei ricorsi storici – a quella presa dallo stesso Veltroni nel lontano 2000, quando, per impulso del presidente Ciampi, i partiti affrontarono il problema di una nuova legge elettorale. Il Veltroni di allora, come oggi Fini, fissava tre paletti al confronto: il rafforzamento del bipolarismo, un premio di maggioranza per la coalizione vincente e la designazione del premier da parte degli elettori. A quel tempo il tema delle “alleanze coatte” non era ancora sentito.
La triplice condizione sollevata mette An fuori dalla corrente che spinge i partiti a valutare varianti del sistema proporzionale alla tedesca. Da ciò la diffusa impressione che il partito di Fini punti in realtà al fallimento del negoziato e al conseguente svolgimento del referendum, per imprimere al sistema elettorale una sterzata in direzione del maggioritario. Se questa impressione è fondata, se ne ricavano due indicazioni contraddittorie: un accostamento tattico di An con i prodiani, partigiani dichiarati del referendum, e un’opzione strategica per il partito unico del centrodestra, in quanto beneficiario del premio di maggioranza portato dal quesito referendario.
È un’apertura di partita che fornisce assai più spunti di domanda che di risposta. Come sempre succede, le risposte non verranno tanto dalle preferenze dei giocatori quanto dai fatti in gestazione, e dai conseguenti stati di necessità.
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