di Fabrizio De Feo
«Caro Walter, il Vassallum non fa per noi. E poi deve essere chiaro chese ilgoverno cade, lo sbocco èsolo il voto». Gianfranco Fini mette subito le carte in tavola nel faccia a faccia conil segretario del Partitodemocratico. Spazza via ogni possibile equivoco. E fa capire che se Romano Prodi dovesse cadere, la via maestra sarebbe sempre e comunque rappresentata dal ritorno alle urne. Nessun inciucio con la maggioranza, insomma. E due postille: «Non voteremo la legge Gentiloni», dice il leader di An in conferenza stampa, spazzando via il cumulo di voci malevole circolato nei giorni scorsi.
E poi, in serata al Tg1, aggiunge a proposito della disfida verbale con il leader azzurro andata in scena in questi ultimi giorni, una frase che apre spiragli di pace: «È stato Berlusconi ad archiviare la Casa delle libertà. Credo cheil popolo del centrodestra chieda a tutti il massimo dell’unità, in rispetto dell’identità deipartiti e inrispetto dei valori di riferimento dei partiti». Il primo confronto tra maggioranza e opposizione sulla riforma della leggeelettoraleproduce, insomma,unrisultato inatteso: un piccolo riavvicinamento, sui contenuti se non nei rapporti umani, tra i due litiganti, Fini e Berlusconi. A questo punto gli occhi di tutti saranno puntati sugli altri incontriche si succederanno durante la settimana: domani l’incontro di Veltroni con l’Udc, giovedì quello con la Lega, venerdì il gran finale con il presidente di Forza Italia. Una sequenza di «match» cheserviranno a dire qualcosa di più sulla futura geografia politica del Paese.
Quel che è certo è che il primo rendez- vous politico si risolve in un sostanziale nulla di fatto. Con la proposta elaborata da Salvatore Vassallo, così comeil modello tedesco, rispediti al mittente dal leader di An. Il motivo? Semplice: si tratta di meccanismi che «non consentono al cittadino di scegliere la coalizione e il candidato premier. Sono un ritorno al passato. Noi non contestiamo il proporzionale ma non ci va bene una legge elettorale che restituisce ai partiti le mani libere sulle alleanze e archivia in Parlamento quello che invece è vigente a tutti i livelli istituzionali», ovvero il sistema bipolare su cui si fondano i sistemi di voto di Regioni, Province e Comuni. Stesso discorso per il dopo Prodi. Fini, di governi istituzionali non vuole neppure sentir parlare. Così come registra con favore il primo via libera, quello della Corte di cassazione, sul referendum. «È questa la vera notizia della giornata», sussurra un uomo vicino al leader di An. Un argomento, quello del referendum, che durante l’incontro viene toccato in maniera soltanto periferica, con un’unica battuta: «Se si arriva alla consultazionepopolare si apre tutta un’altra partita » concordano i due. Veltroni, ovviamente, resta sulle sue posizioni. Si mostra soddisfatto per il fatto che maggioranza e opposizione, finalmente, si confrontino sulle regole del gioco. E puntualizza che «noi,a differenza dell’opposizione, riteniamo necessario arrivare a fine legislatura con questo governo che è stato votato dagli italiani».
Il segretario del Pd mette l’accento su alcune «convergenze», ovvero la necessità di procedere ad alcune riforme costituzionali (la riduzione del numero dei parlamentari, il rafforzamento dei poteri del premier, il superamento del bicameralismo perfetto). Ma ammette che sulla legge elettorale le «posizioni sono distanti». «Bisogna - spiega il sindaco diRoma - trovare un meccanismo che tenga insieme bipolarismo e proporzionale che non sono incompatibili. Ma, comunque vada, il governo deve arrivare al 2011». Fini, invece, proprio non ci pensa a offrire una stampella al governo: «Il dialogo sulle riforme non deve in alcun modo significare sostegno o benevolenza verso il governo Prodi. In Italia tutto il sistema è sostanzialmente bipolare. Pensare a un’ipotesi tutta diversa solo per il Parlamento sarebbeun errore strategico, porterebbe a un sistema schizofrenico».
L’unica vera convergenza si riscontra sulla riforma dei regolamenti parlamentari. Pd e An si dicono d’accordo a co-firmare una proposta di riforma dei regolamenti parlamentari che preveda «l’impossibilità di creare gruppi diversi in Parlamento» rispetto ai partiti che si presentano alle elezioni. «Un modo per evitare la coriandolizzazione» del sistema, dice Veltroni. E impedire che si ripeta l’aumento esponenziale dei gruppi e dei costi consumatosi in questa legislatura.