Io ho votato per il nome “Partito della Libertà”. Popolo mi sembrava offrisse troppo il fianco alle accuse di populismo e poi, in genere i nomi collettivi (la ggente, i ggiovani...) mi fanno venire l'orticaria. In ogni caso, purchè non mi costringano a chiamare la sede del partito casa del popolo, va bene anche “Popolo della Libertà”.
In realtà pare si vada verso una soluzione di compromesso come “Popolari per la libertà” dato che la partita è finita quasi alla pari, 53% per “Popolo della Libertà” 47 per “Partito della Libertà”. La seconda convocazione ai gazebo nel giro di due settimane è stata un successo e dopo una due giorni di bagni di folla e scatti da centometrista, il Cavaliere parla a Milano dell'apertura della fase costituente del nuovo partito che vedrà i cittadini protagonisti e delle elezioni primarie per la scelta del leader sul modello di quelle americane.
Nelle domande dei giornalisti rimane centrale l'esito positivo dell'incontro con Veltroni dello scorso venerdì. Come me crede in un bipolarismo vero, senza veti né ricatti afferma Berlusconi riferito al segretario del Pd e ribadisce, restando ferma la priorità di tornare al voto in tempi brevi, la disponibilità a discutere di una legge elettorale a base proporzionale con sbarramento e senza premio di maggioranza, ma anche di una modifica dei regolamenti parlamentari che obblighi alla esclusiva formazione di gruppi che abbiano come denominazione quella della lista con cui si sono presentati alle elezioni.
E' fatta quindi. L'accordo, almeno quello dei due maggiori partiti, c'è, non resta che approvare la legge. Macchè! In questa fase politica del tutti contro tutti più che una salutare convergenza possono i veti incrociati, i dubbi, le diffidenze. Infatti mentre Berlusconi festeggiava a Milano. A Roma si riunivano i vertici del Pd ai quali Veltroni spiegando la sua proposta di riforma, si trovava subito costretto a precisare che essa prevederà l'espressione delle preferenze e, sollecitato da Prodi, forniva chiarimenti sulla dichiarazione preventiva sulle alleanze e sul fatto che il percorso della legge elettorale sarà legato alla zavorra delle riforme costituzionali (ipotesi che prolungherebbe la vita del governo e che fortemente avversata da Berlusconi). Quella che doveva essere una semplice illustrazione del testo sul quale si era raggiunto l'accordo si trasformava poi in una sua strenua ed improba difesa sotto le bordate della Bindi e di Parisi referendari della prima ora. Ma il bello doveva ancora venire. L'indomani mattina il montante malumore dei piccoli partiti dell'Unione culminava con l'ultimatum del capogruppo dell'Udeur alla Camera Fabris che, uscendo dalla riunione sulla legge di bilancio, accusava Veltroni di aver consegnato ai presidenti delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato il testo della riforma elettorale senza aver consultato gli alleati e minacciava di abbandonare i lavori sulla finanziaria. In serata Prodi si affrettava a dichiarare la convocazione di un vertice di maggioranza nel giro di pochi giorni.
Ma se Atene piange Sparta di sicuro non ride. Nel centro-destra Fini conferma l'indisponibilità del suo partito a votare un sistema elettorale che lascia i partiti liberi di scegliersi gli alleati di governo dopo le elezioni. Udc e Lega sono insieme attendiste e diffidenti.
Il testo sul quale Veltroni e Berlusconi hanno raggiunto l'accordo e al cui orizzonte si addensano nubi così minacciose è quello della proposta dei costituzionalisti Sebastiano Vassallo e Stefano Ceccanti. Essa prevede la suddivisione del territorio nazionale in collegi pari alla metà dei seggi da assegnare che vengono aggregati in circoscrizioni della dimensione media di una provincia. Il 50 per cento dei parlamentari sarebbe eletto in collegi uninominali, l'altro 50 con sistema proporzionale sulla base di liste circoscrizionali (precedenza per i migliori perdenti nel collegio uninominale, se non fossero sufficienti si passerebbe ai candidati delle liste circoscrizionali). Lo sbarramento, tra il 4 e il 5 per cento, verrebbe applicato a livello della circoscrizione, la scheda sarebbe una per ogni Camera e l'espressione del singolo voto varrebbe sia per il seggio attribuito con l'uninominale che per quelli proporzionali. Il sistema disegnato avrebbe un numero di partiti contenuto e favorirebbe le formazioni medio-grandi e quelle radicate sul territorio.
Oltre alla proposta Vassallo-Ceccanti resta l'alternativa del referendum elettorale che registra convinti sostenitori (An e i Prodiani) quanto avversari acerrimi (Udc, Lega, Rutelli). Pochi giorni fa l'Ufficio per il referendum della Corte di Cassazione si è espresso favorevolmente sul numero delle firme raccolte mentre il giudizio di legittimità della Corte Costituzionale dovrebbe arrivare all'inizio del 2008 in modo da poter consentire di votare già in primavera. Il referendum, voluto da Mario Segni e dal costituzionalista Giovanni Guzzetta prevede l'abrogazione del collegamento tra le liste e dell'attribuzione del premio di maggioranza alle coalizioni di liste. Se passasse, il premio di maggioranza andrebbe alla singola lista che abbia ottenuto il maggior numero di seggi verosimilmente corrispondente ad un cartello elettorale tra forze alleate. Rimarrebbero immutate le soglie di sbarramento al 4% per la Camera e all'8 per il Senato, l'indicazione del candidato premier e del programma elettorale. Il referendum punta ad abrogare anche la possibilità della candidatura di un singolo in più circoscrizioni.
Quella del referendum, al di là dei suoi contenuti, era e rimane un'arma efficace per indurre il Parlamento a discutere ed approvare una nuova legge elettorale. L'opportunità rappresentata dalla convergenza di Pd e Pdl sulla proposta Vassallo-Ceccanti non andrebbe sprecata ma, ammettiamolo pure, i segnali non sono incoraggianti.