Si profila un Natale agitato, oltre che austero per la pesantezza di tasse e rincari. In questo dicembre sembra che tutte le categorie, professionisti e dipendenti, statali e autonomi, medici e tutori dell’ordine facciano a gara per protestare contro il governo. Sarà anche esatta la diagnosi del Censis che fotografa una società nazionale ridotta a “poltiglia”, ma è anche innegabilmente vero che tutti i soggetti vivi e vitali, ancorché aggregati in “mucillagine”, ritrovano una sostanziale unità nel contestare l’esecutivo di Romano Prodi.
Trasporti, la nostra croce – La settimana scorsa c’è stato il blocco dei trasporti urbani e ferroviari, con gravi disagi e disservizi anche nel settore aereo. Ogni sono scesi in agitazione gli autotrasportatori, che hanno proclamato il blocco del Tir per cinque giorni, fino a venerdì. Questa protesta rischia di paralizzare il traffico delle merci proprio nel periodo in cui si registrano i maggiori consumi, tradizionalmente legati alle feste di Natale. Se dovessero saltare i rifornimenti ai negozi e ai centri commerciali, la festa, che già si annuncia freddina grazie alle tredicesime falcidiate, risulterebbe inevitabilmente gelata.
Gli autotrasportatori sostengono che sono diventate ormai insostenibili le condizioni in cui sono costretti a lavorare.
Sono nella morsa: da una parte la crescente pressione fiscale, dall’altra la straordinaria impennata del prezzo del gasolio per autotrazione, senza contare le difficoltà create da una rete stradale inadeguata alle esigenze di un Paese avanzato. Il disagio della categoria è noto da tempo al governo, ma nessun provvedimento è stato preso e la finanziaria all’esame delle Camere non prevede capitoli specifici che affrontino il problema.
Il ministro dei Trasporti ha ignorato il problema e si è deciso a convocare i rappresentanti degli autotrasportatori soltanto dopo la proclamazione dello sciopero. La riunione è fissata per domani, ma i margini di trattativa appaiono stretti, gli autotrasportatori non sembrano disposti ad accontentarsi soltanto di promesse.
Sanità e giustizia – Anche la sanità pubblica è senza pace. Nei giorni scorsi hanno scioperato i medici ospedalieri, oggi scendono in piazza i medici anestesisti rianimatori che protestano contro l’istituzione di specializzazione in medicina d’urgenza che, di fatto, cancellerebbe la loro categoria.
Scioperano pure – da oggi e per cinque giorni – i giudici di pace, che contestano al governo di non avere mantenuto le sue promesse in materia di autonomia, previdenza, retribuzioni. Inutile dire che questo sciopero creerà ulteriori ingorghi e rinvii nell’apparato giudiziario che non brilla per efficienza e rapidità.
Sicurezza e pubblico impiego – Sempre ai primi di dicembre sono scesi in piazza migliaia di poliziotti, guardie forestali, agenti della Penitenziaria, con i Cocer dei Carabinieri e della Guardi di Finanza e con i vigili del fuoco. Sotto accusa sono le finanziarie 2007 e 2008: la prima ha drasticamente tagliato i fondi per le forze dell’ordine, riducendone gli organici, la capacità operativa; la seconda non ha rimediato ai danni della precedente e i poliziotti, al pari dei Cc e della Gdf, sono costretti a elemosinare la benzina per le poche auto rimaste utilizzabili nei servizi di pronto intervento. Tutto questo avviene mentre i cittadini sollecitano, a ragione, una più incisiva azione di contrasto contro la malavita e le illegalità diffuse. Anche le guardie giurate sono in agitazione e sei giorni fa una loro delegazione è stata bloccata mentre tentava di entrare a Montecitorio per illustrare i motivi della protesta. Le guardie giurate lamentano una pesante decurtazione degli stipendi.
Tutto il pubblico impiego è sul piede di guerra. Protestano docenti e impiegati della scuola e dell’Università, sempre alle prese con bilanci risicati in un quadro d’incertezza sulle regole e sulle retribuzioni. C’è una fragile tregua degli statali, ma presto dovrà essere affrontato il tema dei nuovi contratti mentre il clima sindacale si riscalda a causa del disagio creato, in tutte le famiglie, da pressione fiscale, stangate di Comuni e Regioni, rincari e aumenti tariffari.
Il governo Prodi, dunque, è riuscito a rendersi impopolare presso tutti i settori della società italiana, dai metalmeccanici vicini alla sinistra radicale ai farmacisti, dai tassisti ai professori universitari, dai commercianti agli agricoltori. Gli scioperi che hanno scandito la sua sterile e ingloriosa vita, confermano che il governo Prodi non ha saputo impostare e realizzare una politica economica rispondente alle esigenze del Paese. Ed è per questo che la stragrande maggioranza degli italiani chiede oggi che il Professore tolga il disturbo.