Qualche tempo fa Massimo D’Alema disse che l’Italia si trovava di nuovo in una condizione paragonabile a quella da cui si elevarono le fiamme di Tangentopoli. La marea dell’antipolitica a cui hanno dato voce personaggi come Grillo o gli autori del volume “La Casta”, così come l’emergere di una nuova leva di magistrati fortemente impegnati pubblicamente come la Forleo e De Magistris, hanno fatto pensare a una reviviscenza di Tangentopoli. Segno di un Paese che non sa mai affrontare e risolvere i problemi, che si ripropongono immutati dopo un decennio e che determinano le stesse reazioni inconcludenti, come una specie di eterno ritorno o di coazione a ripetere.
Le vicende di questi ultimi giorni fanno invece pensare che lo stato di crisi e di sofferenza della società italiana, intesa come sistema politico e istituzionale, e come società nel suo complesso, suscitano uno stato d’animo di inquietudine, di spaesamento e di depressione.
Siamo di fronte ad una profonda crisi morale dell’Italia, che è alla radice della crisi dell’economia, della società e della politica. De Rita ha colto pienamente questa crisi nell’ultimo rapporto del Censis. Tutti percepiscono la gravità della situazione, ma nessuno ha il potere, il coraggio e la lungimiranza di affrontare una crisi che rischia di portare a tensioni sociali incontrollabili.
Di fronte a questa crisi l’Italia si trova totalmente impreparata, perché nel momento della massima difficoltà sono venuti al pettine tutti i nodi irrisolti della storia nazionale, dal dopoguerra ad oggi.
Di fronte a questa crisi, c’è chi ha scelto di non chiudere gli occhi, come il Presidente della Camera, il quale ha preso atto onestamente e chiaramente del fallimento del governo in carica e sopratutto della necessità di affrontare una grave situazione economica e sociale.
E c’è invece chi, come Prodi, ha come unico obiettivo quello della pura sopravvivenza.
Oltre alla linea di resistenza di Prodi, che provoca conseguenze devastanti sul tessuto economico e democratico del Paese, vi sono poi i cosiddetti “odiatori”, come li ha definiti il direttore del Corriere della Sera, che agiscono per far fallire il dialogo fra le maggiori forze politiche e la possibilità che si instauri in Italia una democrazia normale. Fra questi poteri vi è quello di una parte della magistratura – o di chi la usa – che sempre più chiaramente agisce in maniera sincrona rispetto alle azioni di una parte del mondo politico.