di Mario Giordano -
Per perdere dignità, diceva il saggio, bisognerebbe prima averla. Ecco, Tommaso Padoa-Schioppa ce l’aveva. Chi gliel’ha fatto fare di giocarsela tutta sull’altare di questo malandato governo, è un mistero doloroso. Doloroso, s’intende, per gli italiani, che dopo aver subito le sue battute sui bamboccioni e soprattutto la sua avidità fiscale (le tasse sono bellissime, no?), adesso si domandano che cosa aspetti a dimettersi, dopo la doppia figuraccia in dodici giorni. Dalla finanza internazionale ai tarocchi da strapaese: roba da eravamo quattro amici al Tar.
Il ministro-acronimo (Tps) ha infatti messo la sua grisaglia da banchiere, la sua storia familiare e professionale, i suoi capelli bianchi e il suo curriculum austroungarico al servizio dell’esecutivo più pasticcione e in malafede che la Repubblica ricordi. È stato lui a far fuori uno dopo l’altro sia il consigliere Rai Petroni, sia il generale della Gdf Speciale: due operazioni di killeraggio compiute in nome dell’occupazione prodiana del potere. Ed entrambe sconfessate dal Tar.
Il ministro, in difficoltà, non sa più cosa dire e lo si è visto l’altro giorno alla Camera: tre minuti di replica più vuota del cervello di una pin up. Persino i pasdaran del governo, come la Finocchiaro, devono ammettere l’esistenza di «errori». E se qualcuno nella maggioranza cerca di metterlo al riparo («Tommaso è solo un capro espiatorio»), a Roma c’è chi dice che sia già pronta la sua defenestrazione. A gennaio. Al suo posto, di ritorno dalla Birmania, il prepensionato Fassino.
In effetti finché nei tribunali veniva sconfessato Visco, nessuno si stupiva. Ci eravamo abituati fin dai tempi dell’abuso edilizio di Pantelleria. Ma Tps! Non è sempre stato un severo fautore delle regole? Sono andato a rileggermi il suo curriculum ufficiale: sottotenente di Artiglieria, membro del comitato centrale Bce, presidente della Consob, vicedirettore di Bankitalia, direttore generale alla Commissione europea, oltre che presidente di sei (6!) comitati di controllo e senior fellow o senior adviser di nonsoche d’altro. Tutto quello che c’era da controllare, insomma, lui in questi anni l’ha controllato da severo censore qual è. Siccome poi avevo voglia di rovinarmi la domenica sono andato a rileggermi anche qualche sua vecchia intervista. Non ce n’è una in cui non parli di rispetto delle regole. Al Corriere diceva: «La politica non può essere ambigua». E a Repubblica: «Servono regole e trasparenza». Poi censurava i «troppi egoismi» dei ministri, chiedeva «rigore totale» e impartiva lezioni sulla necessità di «missione collettiva» e di «assumersi responsabilità di fronte alla storia». Perfetto, no? Chissà che avrebbe detto, allora, di uno che si comportava come lui ora. In effetti: assumersi responsabilità di fronte alla storia è fin troppo. Basterebbe assumersele di fronte allo specchio.