di Nicola Porro
Prendiamo un grande pensatore musulmano del XIV secolo, Ibn Khaldun e la sua Muqaddimah. E prendiamo Luciano B., quadro di una grande azienda italiana del XXI secolo e la sua busta paga di dicembre. I due signori probabilmente non si conoscono, eppure nei loro testi sono scritti i medesimi principi: le tasse fanno male.
Ma andiamo per ordine. Il Signor Luciano nel 2007, grazie ad un piccolo scatto, è riuscito a portare il suo reddito lordo annuo ad un soffio sopra i 33mila euro. L’anno prima era un pelo sotto: parliamo di una retribuzione netta poco superiore ai 1600 euro al mese. Stipendio non certo da ricco. Ebbene, Luciano nella sua busta paga di dicembre, comprensiva della tredicesima, si becca 150 euro in meno rispetto all’anno precedente. Avete capito bene: questo è uno degli effetti distorsivi della riforma fiscale introdotta da Visco.
Khaldun, chissà se può essere definito un berlusconiano, alla fine del 1300 scriveva: «Agli inizi, gli Stati applicano percentuali di tassazione bassa, ma raccolgono comunque grandi somme. Con il tempo i governanti diventano più avidi e alzano le aliquote, le attività economiche vengono disincentivate e le entrate per le casse dello Stato diminuiscono». Dopo più di sei secoli, più o meno la stessa cosa, la disegnò su un fazzoletto di carta anche uno degli economisti di Reagan, Arthur Laffer.
Luciano B., Khaldun, Laffer, e chiunque lavori conosce perfettamente questa regoletta empirica: più si tassa e più si disincentiva a lavorare e dunque a generare risorse per la collettività.
La cosa incredibile è che questo principio base non sia ancora chiaro. Meno incredibile, è circa un anno che lo andiamo ripetendo, è che solo oggi ci si accorga delle mostruosità fiscali fatte dalla riforma Visco. Il vantaggio di una pessima riforma fiscale è che i suoi effetti si dispiegano nel tempo e non sono immediati. Solo a dicembre, con il conguaglio di fine anno, i lavoratori si renderanno conto, nella loro ultima busta paga, che le riforme introdotte e annunciate come difensive della classi più deboli, sono un salasso praticamente per tutti. E solo nei prossimi anni ci accorgeremo che la fiscalità eccessiva che continua ad essere la regola di questo Paese è la causa del suo impoverimento. L’incentivo a fare di più, a rischiare maggiormente, a sacrificare il proprio tempo libero, con un fisco di questo genere è inesistente.