di Giordano Bruno Guerri -
Non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte affinché tu possa esprimerle. La celebre frase di Voltaire è nota anche ai più asini fra gli studenti e non può essere ignota a dei docenti universitari. E anche se non la conoscono (è possibile), non possono ignorare che il diritto di manifestare le proprie idee - anche sbagliate, quando non sono criminali - è alla base dei principi di libertà, democrazia, civiltà. Figurarsi in campo scientifico, dove le idee non possono e non debbono mai venire rigettate a priori, bensì esaminate e, nel caso, confutate.
Con tutto il mio laicismo, provo dunque un senso di raccapriccio per quei docenti universitari che si sono presi la briga di scrivere una lettera al rettore della Sapienza di Roma tentando di convincerlo a ritirare l'invito a Benedetto XVI per l'inaugurazione dell'anno accademico. Il motivo del contendere è una citazione del filosofo Paul Feyerabend fatta nel 1990 dall'allora cardinale Ratzinger: «La Chiesa dell'epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo...». Sul Giornale di ieri Andrea Tornielli ha spiegato bene che, dopo quella citazione, lo stesso Ratzinger ne prese le distanze ribadendo che la fede non cresce «dal rifiuto della razionalità». Certo, la citazione è irritante, e ancora più irritante è l'ormai manifesta tendenza di Benedetto XVI a usare citazioni «forti» per poi poter ribattere, dopo gli inevitabili attacchi, «l'ha detto lui, mica io». Mi sembra un trucco dialettico indegno di un intellettuale, figurarsi di un Papa intellettuale. Così non mi è piaciuto che - dopo avere giustamente denunciato il degrado di Roma davanti al sindaco Veltroni - il Papa abbia incaricato l'ufficio stampa del Vaticano di smorzare la polemica, come un politico qualsiasi.
Forse è un romanticismo da non credente pensare che un Papa dovrebbe essere meno politico. Ma impedirgli di parlare in un ateneo è ottuso, oltre che incivile, antidemocratico, illiberale. Certo, anche io sono preoccupato dal fatto che Benedetto XVI, al contrario del suo predecessore, sembri voler aumentare la contrapposizione fra scienza e fede. E non credo affatto che sia una faccenda che riguarda solo i cattolici, perché quando la Chiesa prende certe posizioni, la cosa riguarda tutta la società: fu così all'epoca del divorzio; è così, oggi, con la ricerca sulle staminali. E però si fa soltanto il gioco delle posizioni più oscurantiste, impedendo al Papa di parlare. A chi obiettasse che può parlare dove vuole, che non gli occorre il pulpito della Sapienza, basterebbe forse ricordare il caso recente del presidente iraniano invitato alla Columbia di New York, proprio lui, nemico mortale degli Stati Uniti e negatore - antiscientificamente - dell'olocausto. Preferisco però ricordare un caso più antico e nostrano, nonché a ruoli rovesciati. Nel 1926 Piero Martinetti, docente di filosofia teoretica alla Statale di Milano, presiedeva il VI congresso nazionale di filosofia; gli studiosi cattolici (con in testa padre Agostino Gemelli) e alcuni fascisti rifiutarono di partecipare perché era stato invitato anche Ernesto Buonaiuti, da poco scomunicato «vitando» da Pio XI, la scomunica più grave. Piero Martinetti, non cattolico benché credesse in un'Entità superiore, uomo mitissimo ma deciso a fare rispettare la libertà di tutti, volle aprire lo stesso il convegno, che fu chiuso d'autorità dal prefetto per i disordini subito fatti scoppiare a arte. (Proprio come c'è da temere che avverrà alla Sapienza.) Martinetti dichiarò: «Non potevo rendermi esecutore di un decreto di scomunica, io, filosofo, cittadino di un mondo nel quale non vi sono né persecuzioni né scomuniche». Quando anche lui venne scomunicato, commentò, in una lettera al Sant'Uffizio: «Quanto alla verità, io non posso naturalmente, come filosofo, ammettere che contro la ragione, che è luce divina, valga alcuna verità esteriore: e mi rimetto, tremando, a Colui che solo può giudicare della verità e dell'errore, perché Egli solo è la Verità».
Nel 1931, Martinetti e Buonaiuti furono due dei dodici professori - su 1.400 - che rifiutarono il giuramento di insegnare secondo le dottrine fasciste. Mi chiedo quanti sarebbero stati capaci di fare altrettanto, fra i professori che vogliono impedire a Benedetto XVI di parlare.