Prodi ce la sta mettendo tutta per sabotare il dialogo sulla riforma elettorale, e non certo da ora. L’ingresso in campo di Veltroni lo ha messo con le spalle al muro, ma lui non demorde, e un giorno rovescia sul tavolo il tema esplosivo del conflitto di interessi, un altro congiura con i cespugli della maggioranza contro il superamento della frammentazione politica che impedisce ai governi di governare compitamente il Paese.
Il Professore ha segnato un punto a suo favore facendo fallire il vertice dell’Unione, che si è chiuso con un nulla di fatto, ma non è riuscito a recidere il filo del dialogo che lega Forza Italia e Partito Democratico. I due maggiori partiti italiani sono chiamati ad una prova di responsabilità e di lungimiranza, hanno il dovere di puntellarsi a vicenda in nome dell’interesse superiore del Paese, e devono evitare le trappole che quotidianamente vengono poste sul loro cammino. La bozza Bianco è un punto di partenza e va tenuta in considerazione.
Forza Italia fa bene a respingere eventuali accordi al ribasso, e gli ultimi aggiustamenti imposti dall’asse Udc-Rifondazione-Sinistra democratica vanno nella direzione sbagliata, ma sarebbe un errore gravissimo rompere l’asse con Veltroni, il quale per il momento si è dimostrato un interlocutore affidabile. Buttare tutto a monte significherebbe portare acqua al mulino di Prodi, cioè del sabotatore delle riforme. Certo, c’è un minimo etico - e politico - sotto il quale non si può scendere, ma se si arrivasse a un accordo che preveda uno sbarramento adeguato (5-7%) e un conseguente rafforzamento dei partiti maggiori il risultato sarebbe più che accettabile.
Se Forza Italia e il Partito Democratico dimostreranno di saper tenere il punto e di portare a casa una riforma necessaria nonostante gli ostacoli frapposti da Prodi, sarà proprio il premier a uscirne ulteriormente indebolito. Sarebbe infatti sconfitta la sua rumorosa corte di cespugli e partitini, ma - a quel punto - entrerebbe in agenda di prepotenza se non il voto anticipato, quanto meno il superamento del suo governo e il passaggio a quel breve esecutivo istituzionale e di decantazione che dovrebbe gestire la fase finale della legislatura, provvedendo - oltre al varo della legge elettorale - a qualche aggiustamento dei regolamenti parlamentari.
Ovviamente, però, sarà necessario attendere il verdetto della Corte Costituzionale sui quesiti referendari. La maggioranza dei giudici dovrebbe dare il via libera, anche se c’è ancora una forte pressione per affossare il quesito decisivo sul premio di maggioranza. Ma sarebbe davvero clamoroso se la Consulta considerasse illegittimo il premio di maggioranza determinato dalle modifiche referendarie, visto che non ha avuto nulla da eccepire su quello previsto per le elezioni della Camera nell’attuale legge elettorale.
Comunque, se arriverà l’atteso sì al referendum, Forza Italia e Pd avranno a disposizione un altro atout per portare avanti il loro disegno riformatore.