C’era qualcosa di stonato nel discorso che martedì 22 gennaio Romano Prodi ha fatto ai deputati per chiedere il loro voto di fiducia. A steccare era l’autocelebrazione: in 20 minuti il premier ha elencato i suoi successi senza neppure un’autocritica, anzi promuovendosi con un 10 e lode per avere rimesso in piedi l’Italia nel giro di appena 2 anni. L’eccesso encomiastico non solo suonava male, in un giorno in cui si certificava il dissolvimento della maggioranza, ma rappresentava meglio di tante parole lo scollamento profondo tra l’inquilino di Palazzo Chigi e il Paese.
I politici, destra o sinistra non fa differenza, non sono molto inclini a riconoscere pubblicamente i propri fallimenti e per ragioni di propaganda sono portati a magnificare il proprio operato, ma come si fa a dire di avere aggiustato i conti quando quelli delle famiglie non tornano? Come si può glorificare l’azione di governo quando due quinti della legislatura sono trascorsi tra liti e traccheggi?
Fra qualche tempo, quando gli echi delle autoesaltazioni si saranno spenti e tireremo il bilancio di questi 20 mesi, da ricordare resterà veramente poco. Quasi nulla delle tanto pubblicizzate liberalizzazioni, niente dei molti provvedimenti che erano stati promessi.
Prendete la questione energetica, una di quelle rese scottanti dall’improvvisa fiammata del prezzo del petrolio. In campagna elettorale Prodi promise decisioni rapide a favore delle energie alternative e dei rigassificatori. Risultato? Nulla. In chiacchiere sono finite pure questioni che hanno impegnato e diviso la maggioranza per mesi, come i Dico o le misure per dare più sicurezza ai cittadini.
Niente di fatto sul fronte del mercato del lavoro, che pure era stato uno dei cavalli di battaglia del centrosinistra, zero completo per le opere pubbliche. Arenati perfino i classici interventi anti Berlusconi, come le norme sul conflitto d’interessi e sulle tv.
Qualcuno potrebbe obiettare che non avendo fatto i Pacs, le centrali eoliche, le modifiche alla legge Biagi e via elencando, almeno Prodi non ha combinato danni: obiezione giusta, dal mio punto di vista, ma di guai ne ha fatti altri. Già, perché tirando le somme e accantonando tutti i progetti incagliati nei dibattiti parlamentari, di fatto questi 20 mesi passeranno alla storia per l’obbrobrio dell’indulto, una riforma della giustizia che non darà giustizia ai cittadini e per l’abolizione dello scalone pensionistico.
Delle ripercussioni dovute alla scarcerazione di 20 mila detenuti e alla resa del governo alle pretese dei magistrati si sa. Ma di quelle legate all’intervento sulle pensioni no. Basta leggere il servizio di Daniele Martini che pubblichiamo a pagina 100 per rendersi conto che la spesa previdenziale, secondo i conti dello stesso ministero dell’Economia, rischia di sballare: invece di 7,4 miliardi di spese in più in un decennio, si finirà per pagarne 24 in più in soli 3 anni.
Così anche il successo insistentemente rivendicato da Prodi, il miglioramento dei conti pubblici, rischia di tramutarsi in un insuccesso. Maurizio BELPIETRO