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 IL BENE DEL PAESE E' SOLO UNA SCUSA Data: 01/02/2008
Appertiene alla sezione: [ Opinione ]
di Maurizio BELPIETRO
Il bene del Paese. Fateci caso: non c’è politico che per giustificare le sue scelte non tiri in ballo l’interesse superiore, ovvero la motivazione ideale che anima le sue decisioni. Naturalmente è accaduto anche nei giorni scorsi, quando il governo Prodi è stato impallinato al Senato. In nome del bene pubblico il centrodestra ha invocato le elezioni e per lo stesso motivo il centrosinistra ha invece giustificato la decisione di affidare a Franco Marini un mandato esplorativo per formare un esecutivo che completi le riforme.

Per entrambi gli schieramenti sarebbe stato poco elegante ammettere: vogliamo le elezioni perché pensiamo di vincerle, non le vogliamo perché pensiamo di perderle. E allora si è preferito evocare l’interesse nazionale. Che ovviamente va di pari passo con le riforme.
Quando un governo è in difficoltà e non se ne vuole andare, è quasi certo che invocherà l’urgente necessità di approvare un provvedimento risolutivo per il buon funzionamento della democrazia. Sono le regole della politica e anche quest’ultima crisi è stata scandita dal logoro rituale.

Ma la legge elettorale è davvero così indispensabile? L’ingovernabilità di cui soffre la Repubblica dal giorno in cui è nata è effettivamente causata dal sistema che regola il voto? La risposta è no. Senza rifarsi ai tempi di Alcide De Gasperi, basta dare un’occhiata agli ultimi 15 anni. Il primo governo Berlusconi non cadde per colpa di una legge che non era perfetta, bensì per un avviso di garanzia che affrettò il tradimento della Lega. E nel 1996 Romano Prodi fece le valigie a causa dello strappo di Rifondazione comunista, mentre Massimo D’Alema fu incastrato dalle sue stesse parole (si era impegnato a lasciare se il centrosinistra avesse perso le elezioni europee). Come si vede, la legge elettorale non garantisce di per sé la stabilità e neppure ampi margini per governare.
Altro falso mito è la questione delle preferenze: la loro abolizione avrebbe espropriato i cittadini del proprio diritto di scegliersi i candidati. A parte il fatto che le liste le hanno sempre formate i partiti e non gli elettori, il sistema maggioritario con cui abbiamo eletto i parlamentari fino al 2006 non prevedeva alcuna scelta. Quando i Ds decisero di candidare Antonio Di Pietro nel Mugello mentre Forza Italia schierò Giuliano Ferrara, gli elettori furono chiamati a scegliere tra i due senza alcuna alternativa.
L’idea che la preferenza darebbe più voce ai cittadini è una sciocchezza. Semmai la darebbe alle organizzazioni criminali che in certe regioni d’Italia fanno commercio di voti e spostano pacchetti di preferenze.
Detto questo, la Porcellum, com’è chiamata, non è certo la migliore delle leggi elettorali. Ma per modificarla non serve un governo, bastano due sedute parlamentari, che la abroghino recuperando quella in vigore fino a 2 anni fa.

Attenzione, però: il ritorno della Mattarellum non regalerebbe la stabilità: per scongiurare gli esecutivi ballerini si dovrebbe porre mano alla Costituzione, ma ogni volta che qualcuno ci prova c’è qualcun altro che, in nome del bene comune, si oppone.
Che volete farci? Purtroppo il codice non prevede il reato di presa in giro dell’elettore.

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