L’ora è arrivata. Romano Prodi (Presidente del PD, non scordiamocelo mai!) e il suo Governo tra cumuli di rifiuti, tasse e miseria, dopo aver messo in ginocchio l’Italia, sono andati a casa. Il Presidente della Repubblica, con una sindrome da protocollo istituzionale non in linea con le urgenze del Paese, ha constatato, con una certa riluttanza, l’impossibilità (e l’inutilità) di formare un nuovo esecutivo, e ha così finalmente sciolto le camere.
Nel frattempo la sinistra si è spaccata. L’anomalia tutta italiana di una sinistra massimalista e radicale alleata con la sinistra che (con la solita buona dose d’immodestia) si definisce riformista, sembra essere finalmente terminata con circa cinquant'anni di ritardo, rispetto a tutte le esperienze delle più grandi democrazie europee. E’ proprio questo ritardo che deve fare pensare, e deve fare stare all’erta; Veltroni e il PD (che ha come Presidente Romano Prodi, non scordiamocelo mai!) corrono da soli perché sanno che la riproposizione dell’accozzaglia sbandata del 2006, porterebbe ad una sconfitta certa e cocente. Quindi da soli per necessità, non per scelta o diverso posizionamento politico, accompagnando il tutto con questa ormai stantìa esegesi del nuovo, patetica e comica , recitata ogni giorno da chi ha iniziato ad alzare il pugno chiuso negli anni settanta, ha continuato a farlo fino al Congresso dei Giovani Comunisti Europei a Sofia alla fine degli anni ottanta, per poi dimenticarselo ed abbracciare l’America, Martin Luther King, Obama, Jovanotti, l’Africa e la solita vecchia, trita e ritrita galleria di citazioni, buonismi e chiacchere al vento. Da Spello Veltroni ci dice tutto e il contrario di tutto, ma soprattutto dice che è la politica che si deve rialzare, quella politica che lui fa da trent’anni, ricoprendo cariche via via più importanti. Insomma un’autocritica inconsapevole, un marziano che all’improviso sbarca in Italia.
Ma nonostante questo vuoto spinto, nonostante il significativo vantaggio nelle indicazioni di voto del Popolo della Libertà, Veltroni e il PD non vanno sottovalutati, essenzialmente per due ragioni. Primo perché sono già iniziati i soliti endorsement (con Mieli gran ciambellano), le interviste in ginocchio (Veltroni a Matrix, la settimana scorsa) le adesioni dei “soliti pezzi” della società civile e … non siamo ancora in campagna elettorale.
Secondo perché una volta tanto ha ragione Veltroni, non bisogna vincere a tutti i costi. E vero! Bisogna stravincere a tutti i costi. Il Popolo della Libertà, questa volta, deve stravincere, perché per la missione che l’aspetta, non ci devono essere ostacoli, trasformismi, camaleontismi, ripensamenti, capriole, follinismi, titubanze. Perché la missione è, questa volta, una vera rivoluzione liberale, non più derogabile, senza compromessi, senza colbertismi, non più emendabile, senza rendite di posizione, senza codardi moderatismi.
E’ l’ultima chance perchè il Popolo della Libertà non tollelerebbe un’ulteriore occasione perduta; chi non ci sta, lo dica ora, e vada per la sua strada, perché per ciò che c’è da fare serve coraggio, determinazione e coerenza.
Perché ci vuole coraggio per mandare a quel paese ogni corporazione, i signori delle rendite, i capitalisti senza capitali, i monopolisti privati, basta con la concertazione, con i soliti tavoli, con i soliti interessi. Serve un piano di liberalizzazioni che permetta finalmente ai cittadini di esercitare la propria libertà di scelta, in un quadro di trasparenza e concorrenza. Vogliamo finalmente avere la libertà di mandare a scuola i nostri figli dove più lo riteniamo opportuno, vogliamo un’università libera dai baroni con una propria autonomia e responsabilità, vogliamo essere curati dove pensiamo lo facciano meglio, non vogliamo più balzelli e bolli. Si devono liberare finalmente tutte le energie del mercato, chi intraprende e rischia non venga più sbertucciato, affinché l’intrapresa torni ad essere quella insostituibile cellula sociale creatrice di benessere, perché il valore sostituisca finalmente la rendita.
Perché ci vuole coraggio per mettere mano alla vergogna della spesa pubblica; una spesa che ormai ha raggiunto la metà del PIL. I numeri sono scandalosi: più di 42 milioni di giornate di malattia retribuite nel 2006, più di 12 giorni di malattia per dipendente pubblico all’anno, nessuna mobilità, un potere invasivo e devastante dei sindacati, i veri padroni della macchina della pubblica amministarzione. Più di 100 miliardi di euro l’anno spesi nella sanità, con i bambini che muoiono di appendicite negli ospedali e la necessità di raccomandazioni, per fare una TAC in tempi non biblici. Sulla spesa pubblica e la PA non ci vogliono esitazioni e titubanze, va razionalizzata e resa più efficiente, va bloccato il turnover dei dipendenti pubblici e la mobiltà non deve essere più volontaria, e più responsabilità ai dirigenti. Chi gestisce un ospedale deve essere giudicato per i risultati che porta e per il servizio che riesce a dare, nient’altro. E nessuno rimetta sul tavolo i voti degli statali, c’è il voto dell’Italia che produce che aspetta e che non può essere più tradito.
Perché ci vuole coraggio per dare finalmente anche ai lavoratori italiani un fisco giusto, che chieda ai cittadini la giusta parte dei risultati del loro lavoro ed in cambio, fornisca servizi adeguati. Giù le tasse, senza titubanze con i soldi del taglio della spesa pubblica, innalzando l’età pensionabile a livelli europei. Giù le tasse, per riaccendere i consumi e lo sviluppo.
Perché ci vuole coraggio per dire ad un giovane, il futuro è nelle tue mani, mettiti in gioco, punta sulla conoscenza, sulla competenza, il posto sicuro è una schiavitù, sei tu la tua sicurezza e il tuo destino, in un ambiente che premia il merito, favorisce la mobilità sociale e la capacità di rischiare.
Perché ci vuole coraggio per dire a chi non ce la fa, che la soluzione sta nella creazione del benessere e non nella redistribuzione, che chi dice di rappresentarli, in effetti non l’ha mai fatto, curando sempre i propri interessi corporativi. Benessere e sviluppo combattono la povertà, nient’altro.
Perché ci vuole coraggio per dare voce all’Italia dei volontari che ogni giorno, in silenzio, mette in gioco se stessa al servizio degli altri, l’Italia della sussidiarietà mai rappresentata a nessun tavolo, ma motore vitale di coesione, solidarietà e sviluppo.
Perché ci vuole coraggio per mettere mano finalmente ad una nuova politica energetica, che faccia piazza pulita dell’ambientalismo dei veti, a un nuovo piano infrastrutturale prendendosi la responsabilità di decidere ed avendo la forza di farlo. Un ambientalismo consapevole e responsabile che comprenda che la tutela dell’ambiente non è in conflitto con lo sviluppo, ma al contrario ne va ricercata la simbiosi.
Perché ci vuole il coraggio delle scelte perché i cittadini sentano la sicurezza come un valore, perché non si muoia più sul posto di lavoro, né per incidente o negligenza, né perché non si è pagato il pizzo.
Perché ci vuole coraggio per dare ai cittadini una giustizia che funzioni, la certezza di essere giudicati da giudici imparziali in tempi brevi, poche regole ma certe, interpretazioni univoche, la libertà di alzare il telefono e poter parlare liberamente, senza il timore che qualcuno ascolti.
Coraggio, forza e responsabilità. E per questo che bisogna stravincere, la rivoluzione liberale non può più attendere.
Due mesi ancora per riprendersi il Paese e la nostra libertà.