Pubblichiamo ampi stralci dell'intervista rilasciata da Silvio Berlusconi al direttore del settimanale "Tempi", Luigi Amicone.
Ancora una volta Silvio Berlusconi è il protagonista del cambiamento della politica italiana. La sua iniziativa di radunare i moderati e i liberali nel Popolo della libertà è forse l'innovazione maggiore dopo la sua discesa in campo del 1994. Eppure c'è chi scrive che il merito è del Partito democratico. Presidente Berlusconi, dove sta la verità?
«Ho sempre lavorato al progetto di creazione di un partito unitario del centrodestra, per dare più potere agli elettori e più stabilità ai governi. Al secondo congresso di Forza Italia, nel 2004 ad Assago, dissi nella mia replica che occorreva giungere ad un partito del 51 per cento, perché il cambiamento in Italia è tanto necessario quanto difficile e occorre unire le forze in un progetto credibile da perseguire con determinazione, senza riserve e veti di minoranze. All'epoca non si parlava nemmeno del Partito democratico; anzi il presidente del Pd, Romano Prodi, lavorava alla creazione dell'Unione, quell'ammucchiata di partiti che in soli due anni di governo ha messo l'Italia in ginocchio. Perché l'Unione nasce ed è tenuta insieme solo dallo spirito dell'antiberlusconismo. Era un'unione nata "contro" e non "per". E alla fine è stata contro l'Italia».
Eppure molti la interpretano come una risposta alla decisione di Veltroni di correre da solo.
«Veltroni ha deciso soltanto pochi giorni fa che il suo partito si sarebbe presentato alle elezioni del 13-14 aprile senza alleanza con l'estrema sinistra: una scelta obbligata, un atto necessitato più che di coraggio. Un tentativo di prendere le distanze da un governo, il governo Prodi, che ha lavorato male secondo otto italiani su dieci, un governo formato per l'80 per cento da ministri e sottosegretari del Partito democratico, lo stesso partito che oggi promette di governare diversamente da come ha fatto fino a ieri. Ma come possono pensare che gli italiani ci credano? Il Pd è e resta il partito di Prodi».
Nella lista unica entrerà tutta la ex Casa delle libertà?
«Entrerà chi ci sta, chi condivide il nostro programma, si impegna a sostenere - senza veti e riserve - il governo e il premier che dovranno realizzarlo e a dare vita a un unico gruppo parlamentare, il gruppo del Popolo della libertà. È questa la volontà dei nostri elettori, che sono più uniti di quanto lo siano stati i partiti(...)».
L'Udc resta fuori?
«La scelta spetta a loro. Conoscono quanto noi il sistema elettorale in vigore. Come noi fanno parte della famiglia europea del Ppe, così come anche l'Udeur, che potrebbe rientrare nello schieramento moderato, così che oggi tutti i partiti italiani che sono nel Ppe stiano dalla stessa parte politica. La gente è stanca delle divisioni. E le indicazioni unitarie che ci ha dato il nostro popolo negli ultimi due anni sono chiare, pressanti. Noi le rispetteremo e andremo avanti su questa strada, senza tentennamenti».
Nel caso in cui gli elettori dessero al centrodestra una schiacciante maggioranza alla Camera e, a causa del diverso meccanismo elettorale, una maggioranza comunque robusta al Senato, lei manterrebbe ferma la sua disponibilità a dialogare con l'opposizione? Sarebbe disponibile a trovare larghe intese sulle riforme e sulle cariche istituzionali?
«È una disponibilità che abbiamo manifestato già prima della crisi di governo. E la rinnoviamo per il futuro. Siamo disposti a dialogare, a confrontarci, a scrivere insieme le regole e le riforme che debbono far compiere all'Italia un salto di qualità. Queste riforme le avevamo già fatte in buona parte, avevamo anche approvato alcune modifiche alla Costituzione per dare più poteri all'esecutivo, ridurre il numero dei parlamentari, superare il bicameralismo perfetto e avviare il federalismo fiscale. Sono le stesse riforme che la sinistra ora invoca, mentre quando ci fu il referendum confermativo fece di tutto per affossarle, e ci riuscì facendosi condizionare dai nostalgici della Costituzione del 1948. Una Costituzione nata per evitare la guerra civile alla fine della Seconda guerra mondiale e che oggi non è più corrispondente alle esigenze di un paese che è ancora il settimo paese più industrializzato del pianeta. Noi siamo pronti a scrivere le regole comuni della partita, ma vorremmo vedere la stessa disponibilità da parte dei nostri avversari, mentre invece il loro comportamento è stato sinora del tutto opposto».
A cosa si riferisce?
«Voler imporre per decreto l'election day e obbligare gli italiani a votare insieme per le elezioni politiche e per quelle amministrative, mi sembra un pessimo inizio di dialogo. In alcuni casi, i cittadini si troveranno in mano fino a sei schede elettorali, con sistemi elettorali diversi e quasi certamente con alleanze politiche diverse. Mi sembra una mossa disperata per confondere le acque e nascondere tutte le difficoltà che ci sono tra il Pd e la sinistra». (...)
Il governo Prodi lascia un piccolo tesoretto (...) Se lei vincesse le elezioni si troverebbe comunque di fronte a sfide molto difficili: (...) come pensa di affrontare le nubi che si addensano sull'Italia?
«Non esiste nessun tesoretto. Lo ha scritto con chiarezza di cifre il più autorevole quotidiano economico, Il Sole 24 Ore, sostenendo che ci sarebbe addirittura un buco di 7 miliardi di euro. Il governo Prodi ha alzato di tre punti la tassazione Irpef. Su base annua, fanno 45 miliardi di euro di maggiori entrate. Sono soldi che sono stati spesi quasi tutti con la logica che anche un ex esponente dell'Unione, Lamberto Dini, ha definito "tassa e spendi". Se va bene, Prodi ha in cassa 2 miliardi di euro invece dei 3-4 previsti: non vorrei che fossero usati anche questi per qualche trovata elettorale. Noi invece nel 2006 lasciammo in eredità i conti dello Stato in ordine e un extragettito cospicuo, circa 14 miliardi, frutto della nostra ultima legge finanziaria. (...) La prima cosa da fare sarà quella di rimettere i soldi nelle tasche dei cittadini e delle famiglie per rilanciare i consumi e con questi l'economia e la creazione di nuovi posti di lavoro. Prodi ha svuotato le tasche dei contribuenti di ogni fascia sociale caricandoli di imposte. Noi dovremo usare la leva fiscale nel modo opposto. E aboliremo subito l'Ici sulla prima casa, come avevamo promesso nel 2006. Ripartiremo subito con le grandi infrastrutture e l'alta velocità, che il governo della sinistra e dei Verdi ha bloccato colpevolmente per due anni. Rilanceremo il Ponte sullo Stretto, i termovalorizzatori, i rigassificatori, e tutte le infrastrutture indispensabili in un paese moderno, dove non sono più ammissibili fenomeni di malgoverno come quello che i cittadini della Campania hanno dovuto e devono subire nello smaltimento dell'immondizia, un’autentica tragica ferita all’immagine internazionale dell'Italia inferta dalla giunta di sinistra guidata da Antonio Bassolino e dal ministro verde Alfonso Pecoraro Scanio». (...)
Cosa pensa della moratoria internazionale sull'aborto lanciata da Giuliano Ferrara? Da presidente del Consiglio, sosterrebbe presso l'Onu la richiesta di emendamento dell'articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo per affermare il diritto alla vita «dal concepimento alla morte naturale»?
«Come lei sa, su queste materie la regola del nostro schieramento politico è la libertà di coscienza. Credo che riconoscere il diritto alla vita "dal concepimento alla morte naturale" sia un principio che l'Onu potrebbe fare proprio, così come ha fatto sulla moratoria per la pena di morte pur dopo un lungo e non facile dibattito».