Che Antonio Di Pietro non c’azzeccasse nulla con il politically correct e con la moderazione dei toni con cui Walter Veltroni voleva caratterizzare la sua campagna elettorale, non ci voleva molto per intuirlo. Molti, e noi tra i primi, l’avevano previsto fin dal giorno in cui il Partito Democratico e l’Italia dei valori si sono alleati, smentendo così la prima bufala della campagna veltroniana, quella della corsa “da solo”. Dietro Di Pietro avevamo colto qualcosa di opaco e di inconfessabile: dalla contiguità strumentale con i gruppuscoli del giustizialismo, da Grillo a Travaglio, assai temuti in casa Pd, fino all’esistenza di una vecchia cambiale elettorale che l’ex pm riscuote ad ogni convocazione dei comizi per avere fermato a suo tempo le indagini milanesi fuori dal portone di Botteghe Oscure.
Ora, l’uscita sulla cura dimagrante che l’ex pm vorrebbe imporre a Mediaset nell’ipotesi, assai remota, di una vittoria elettorale del suo schieramento, cancella qualsiasi dubbio. Togliere due reti televisive, come propone Di Pietro, all’azienda della famiglia del leader del Partito della libertà, spedendo Retequattro sul satellite e un’altra non si sa dove, supera negli intenti punitivi e distruttivi il ddl Gentiloni, che si proponeva di ridurre a due le reti Mediaset, e fa proprie tutte le pulsioni antiberlusconiane e illiberali che per 14 anni hanno ispirato la politica della sinistra sulla comunicazione televisiva. La rozzezza della proposta è tutt’uno con un personaggio che da pm trafficava con le scatole da scarpe piene di soldi e con le Mercedes, mentre da capo-partito si è servito dei soldi del finanziamento pubblico per alcuni affari immobiliari di famiglia.
Nelle sue prime uscite, Veltroni aveva promesso un cambiamento di stile rispetto al passato, quando lo schieramento di centrosinistra, in primis l’Unione di Prodi, era tenuto insieme soltanto dall’antiberlusconismo: basta con la demonizzazione dell’avversario politico, aveva dichiarato con una certa enfasi. Novità che il leader del Popolo della libertà è stato il primo a salutare con favore, augurandosi la fine delle leggi contra personam e contra aziendam praticata dalla sinistra.
Ora è evidente che, sulle reti Mediaset, Di Pietro non ha affatto smentito se stesso e la sua cultura giustizialista, che da sempre si nutre di odio politico e di pratiche illiberali. Piuttosto, ha bocciato la linea del politically correct di Veltroni. Ed è altrettanto evidente che il candidato premier del Pd non può cavarsela facendo finta di nulla, di non avere sentito: ne va della sua credibilità politica per l’oggi e per il domani. Il proverbio dice: chi tace acconsente.
E’ d’accordo Veltroni con le folli pretese giustizialista di Di Pietro in campo televisivo? Lo dica. Non è d’accordo? Anche in questo caso, lo faccia sapere al più presto. Dalla risposta, capiremo se la sua disponibilità a discutere insieme al Partito della libertà le riforme istituzionali dopo l’esito del voto sia un impegno credibile o soltanto una delle promesse che finora ha dimostrato di sapere mantenere in misura quasi insignificante.