O Fidel! Fidel! Perché ci hai abbandonati? Piangono il tramonto di un sogno i giornali italiani e ne raccontano l’epopea, dalla rivoluzione alla malattia. Grandi impaginate ed evocazioni: non sarà più il leader maximo.
Il cuore si stringe e guarda in alto, cerca l’elevazione e trova l’inganno. Il dolce inganno di sempre, di chi ha vissuto di miti per un’intera esistenza e mai ha aperto davvero gli occhi sulla realtà: perché assistere allo spettacolo del proprio stolido fallimento e assumersene la responsabilità? Perché svegliarsi dal sonno e rimettersi in discussione? Troppa fatica! Ci vuole umiltà, coraggio, studio, riflessione, e impietosa autocritica: meglio continuare a dormire e nascondere l’inganno, a se stessi e agli altri.
“Qui all’Avana, strana normalità… Se è, come è, una giornata storica, si fa di tutto, con intelligenza, affinché non appaia tale, nella fragile speranza che non lo sia veramente” (Corriere della Sera).
“Adesso che il vecchio malandato Fidel sembra volersi ritirare a vita privata, mi ritornano tante immagini. Ero in Argentina quando, quarantasette anni fa…” (Repubblica).
“…riafforano alla memoria fotogrammi sparsi di quei ragazzi…un tempo così felici, giovani, scapigliati e danzerini in viaggio a Cuba. L’unico comunismo più simile a Woodstock che alla Lubianka: canti, balli, treccine… E’ il 1978… Un D’Alema scatenato nelle danze con pettinatura fricchettona sale anche sul palco accanto a Fidel…” (Stampa).
“Cosa sopravvivrà del castrismo senza il fascino della sua regia? Riepilogarne l’avventura diventa esercizio imbarazzante in chi ha una certa età ed è cresciuto nella convinzione che tutti ne conoscano la storia” (Unità).
Rimpiangendo Castro, “il Dittatore e il Mito”, la gerontocrazia del giornalismo italiano, e non solo, rimpiange la sua giovinezza perduta.