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 Il Gattopardo di Veltroni si chiama Colaninno Data: 21/02/2008
Appertiene alla sezione: [ Politica ]
Caro Principe di Salina, hanno provato a farci credere che non avremmo avuto scampo. Che la bislacca cultura politica di questo scorcio d’eternità, chiamato XXI secolo, avrebbe navigato col vento in poppa verso le sicure rive del post-modernismo.

Che la buriana nuovista ci avrebbe travolto lasciandoci così, senza fede né patrie, senza padri né storia. Ci siamo fidati, ignavi e maldestri. Ma poi è arrivata la rassicurazione sinistra.

E “Mister ma anche” ci ha ricordato che si può essere “nuovisti” ma anche “passatisti”, soprattutto se si tratta di amici di lunga data. Ecco allora comparire nelle liste del Partito democratico il nome del “nuovo” Matteo Colaninno, vicepresidente del gruppo Piaggio e presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria, figlio del “vecchio” Roberto. Proprio lui, il capofila dei capitani coraggiosi di casa a Mantova e Brescia, che nella primavera del 1999 diedero vita alla “madre di tutte le scalate”. Quella su Telecom. Assaltata con cento miliardi di lire fantasma, frutto di prestiti bancari e speculazioni borsistiche, e supportata dall’unica merchant bank nella quale non si parlava – e probabilmente neppure ora si parla – l’inglese, la Palazzo Chigi Spa di Massimo D’Alema e della sua corte. Un’Opa che fallì nel giro di due anni, nonostante le grida di giubilo e i botti di spumante pidiessino, e che abbandonò i risparmiatori alle derive del loro destino. Altro che scogli sicuri del futuro.

E’ dunque il capitalismo senza capitali, che Veltroni trascina nel Pd. Senza possibilità di redenzione né conversione per la sinistra di lotta e di governo. Sinistra che si appella alla modernità nuova e liquida, e che i conti con il proprio passato li ha fatti eccome. Decidendo che andava bene così. Avanti tutta.

Esatto, ha capito bene, caro Principe. E’ cambiato tutto, perché tutto restasse com’era. Pensavamo meravigliati alla Sua Sicilia, guardiamo tristi e disillusi alla nostra (?) Italia. Senza neanche un Tancredi con cui divertirsi, con cui parlare. Qui ci è rimasto un Colaninno. A ciascuno il suo.

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