In una società affamata di numeri e statistiche, i “dati” giocano un ruolo importante. Riuscire a manipolarli è quindi di importanza fondamentale. Ma non riesce sempre bene, come dimostra il balletto delle cifre sul “tesoretto” tutto interno alla sinistra.
Veltroni non sfugge alla tentazione e ripete che il distacco tra il Partito della libertà e il suo Partito democratico è di soli 6,5 punti.
Probabilmente Veltroni si riferisce all’ultimo sondaggio elaborato da Crespi Ricerche il 18 febbraio e disponibile sul sito del Governo, che offre questo dato ma che, alla domanda sul candidato-premier preferito, dà a Berlusconi il 44% e a Veltroni il 34,5%, cioè 9,5 punti in meno.
L’ultimo sondaggio disponibile SWG, risalente al 14 gennaio, dà al Pdl il 45% e al Pd il 36%: cioè una differenza di 9 punti.
Un precedente sondaggio Crespi, risalente all’11-12 febbraio, dava al Pdl il 37% e al Pd il 32%. Secondo questo stesso istituto di sondaggi, dall’11 febbraio al 18 febbraio, il Pdl sarebbe comunque aumentato dello 0,5%, cioè dal 37% al 37,5%, mentre il Pd sarebbe diminuito dell’1%, cioè dal 32% al 31%. Un’indagine più recente, pubblicata oggi da Repubblica, invece affida alla coalizione guidata da Veltroni il 34,5% dei consensi mentre quella di Berlusconi si attesta al 44,5%. Dieci punti di differenza, tondi tondi.
È del tutto legittimo che Veltroni cerchi di farsi coraggio e di dare coraggio ai suoi: non c’è niente di peggio che dichiararsi sconfitto prima di giocare. Ed è anche legittimo aggrapparsi al sondaggio più favorevole alla propria parte. Ma proprio prendendo in considerazione il sondaggista più propizio, Crespi Ricerche, Veltroni ha ben poco da rallegrarsi: il Pd non è vincente. E anche l’accordo con i Radicali non sembra portargli conforto, perché la dote della Bonino vale solo un misero 0,5%. Anzi, secondo un sondaggio realizzato dall’Ipsos, l’ingresso degli ingombranti pannelliani nel Pd crea un problema superiore al “guadagno”, perché fa aumentare l’eterogeneità della coalizione riproponendo all’elettore il modello Unione, che non è naturalmente un modulo vincente.