PUBBLICHIAMO L'EDITORIALE DEL DIRETTORE DI PANORAMA, MAURIZIO BELPIETRO, CHE SFERZA LA CACCIA AI NOMI FAMOSI DA METTERE IN LISTA, A PRESCINDERE, DIREBBE TOTO', DALLE LORO CAPACITA' E DALLE LORO ATTITUDINI.
IN PARLAMENTO, SIAMO D'ACCORDO CON BELPEITRO, NON ABBIAMO BISOGNO DI STAR E PRIMI ATTORI, ABBIAMO BISOGNO DI GENTE CHE CONOSCA I PROBLEMI E SAPPIA INDIVIDUARE LE SOLUZIONI. GLI ALTRI CONTINUINO A FARE IL LORO MESTIERE.
La caccia al cognome è cominciata. Per dare la sensazione di rinnovarsi i partiti vanno alla ricerca di volti nuovi, possibilmente conosciuti, e quando non sono noti confidano nel fatto che lo siano almeno i cognomi. Si cerca di mettere in lista attori, imprenditori, figli famosi. In alternativa si punta sulle vittime: parenti di persone assassinate dalla mafia, dal terrorismo, oppure morte in tragedie che hanno suscitato forti reazioni nell’opinione pubblica.
Per conquistare voti, non si guarda in faccia a nessuno: il cinismo della politica fa giocare con le emozioni, belle o brutte, dolci o dolorose. L’abitudine di candidare uomini o donne che hanno sofferto per un delitto politico o mafioso potrà sembrare ad alcuni necrofilia politica, ma ormai è diventata la regola. Già, perché la ricerca del nome noto che oggi viene spacciata per nuova in realtà è vecchissima.
Basta sfogliare gli annali delle Camere per rendersene conto. In passato ci furono onorevoli cantanti (Gino Paoli), registi senatori (Giorgio Strehler), deputati attori (Carla Gravina ed Enrico Montesano) e parlamentari presentatori (Gerry Scotti). Dal campo delle arti approdarono a Montecitorio o a Palazzo Madama scrittori (Natalia Ginzburg, Claudio Magris, Alberto Arbasino) e pittori (Renato Guttuso), mentre da quello dell’imprenditoria, oltre all’intera famiglia Agnelli (Umberto, Suni e Giovanni nominato senatore a vita), giunsero Francesco Merloni e Giancarlo Abete.
Tra i parenti delle vittime del terrorismo o di tragici eventi la politica ha sempre pescato: il lungo elenco si conclude con la madre di Carlo Giuliani, il ragazzo ucciso a Genova mentre tentava di lanciare un estintore contro un carabiniere.
Niente di nuovo, insomma. Ma c’è da chiedersi se almeno l’operazione cognomi serva alla politica per rinnovarsi, per aprire le sue stanze, per cambiare il proprio gruppo dirigente. La risposta è no. Nessuna di queste rispettabilissime personalità (tranne forse il caso di Francesco Merloni, che da ministro varò una legge sui lavori pubblici) ha lasciato traccia. Dopo averli corteggiati per il loro cognome, quasi sempre i partiti si sono dimenticati di quegli illustri onorevoli, trascurandoli e non attribuendo loro alcun ruolo, se non quello di presidiare l’emiciclo quando c’era da votare.
Alcuni di quegli uomini famosi assurti all’incarico di rappresentanti del popolo se ne andarono dopo la prima legislatura, delusi e un po’ schifati, per avere scoperto che più del voto contava il volto. Del resto, l’operazione volti noti cela facce usurate dal tempo. Perché, a ben vedere, la politica italiana è in mano a un’oligarchia composta da un centinaio di persone. Dirigenti e funzionari di partito che fanno e disfano i governi, che compongono maggioranze e decretano l’approvazione o la bocciatura di una legge. E nessun Parlamento dei famosi riuscirà a convincerli a farsi da parte.