Silvio Berlusconi interviene con un’intervista al quotidiano “La Stampa” che lunedì ha titolato: ‘L’incubo di Silvio è il flop nei Comuni’. Ti proponiamo il testo integrale dell’intervista…
BERLUSCONI: ALLE AMMINISTRATIVE O NOI O LORO
«Lei ha scritto una grossa sciocchezza sul mio conto», esordisce Silvio Berlusconi per telefono. A quale si riferisce, Presidente? «Che per paura di perdere le prossime elezioni amministrative io avrei deciso di non politicizzarle».
Così riassumono il suo pensiero... «E’ l’esatto contrario. Ma come potrei io, da persona mediamente intelligente, credere che sia più conveniente arrendersi senza combattere? Forse lei ritiene che in questo caso i vostri giornali, la sinistra, tutti quanti, rinuncerebbero ad addossare una sconfitta a noi e a me in particolare? Me la farebbero pesare in ogni caso».
Quindi?«Quindi, tanto vale che io cerchi di limitare i danni. E se nel voto locale io non porto un significato nazionale, vado a prendere molti meno voti».
Com’è possibile che, col vento in poppa, rischiate addirittura di perdere le amministrative?(Lungo sospiro) «Perché si ha sempre a che fare con gli egoismi dei partiti. Invece di scegliere il miglior candidato possibile, qualche volta antepongono il loro interesse, e mandano avanti il nome sbagliato».
Sta succedendo questo? «In certe città abbiamo dovuto accettare dei candidati frutto della volontà degli altri partiti. Non in tutte, per fortuna. Comunque io andrò a fare campagna anche per loro».
Scenderà in campo lei personalmente?«Ripeto: è mia intenzione politicizzare al massimo la campagna amministrativa. Per far sì che il 57 per cento attribuito al centro-destra dai sondaggi conti anche nelle elezioni dei sindaci e dei presidenti di Provincia. Tenterò di convincere i cittadini a esprimere un voto in sintonia con quanto pensano della politica nazionale».
Niente tatticismi, stavolta...«Il tatticismo in qualche caso sono costretto a usarlo per tenere insieme la nostra coalizione, alla quale i personalismi di qualche alleato (quale? potete immaginare) stanno facendo danni enormi... Per esempio, nell’ultima gestione della crisi: mi sono dovuto muovere in modo diverso da come l’istinto mi suggeriva».
D’istinto cosa avrebbe fatto?«Avrei voluto gridare “elezioni elezioni”. E se non me le davano, “in piazza in piazza”. Questo è quanto chiedeva la mia gente, che della politica parlata prova ormai un senso di autentico disgusto. Tanto che ormai non vado più nemmeno in televisione».
Non sarebbe stato un discorso da leader moderato... «Quando c’è di mezzo la libertà di tutti, io non sono mai un moderato. Divento un radicale. Poi però i soliti leader degli altri partiti della coalizione (eccetto la Lega, che stava dalla mia parte) si sono messi a dire: “No, se parli di elezioni poi nessuno dei loro senatori passa di qua...”. Io ho risposto: “Guardate che nessuno di loro verrà da noi lo stesso, perché sono tutti minacciati e guardati a vista”»
Risultato?«E’ andata come prevedevo. E, quel che è peggio, dal Presidente della Repubblica l’opposizione si è presentata divisa».
Per cui Napolitano non ha sciolto le Camere... «Forse non avrebbe cambiato parere, perché fin dall’inizio era orientato a rimandare Prodi davanti al Parlamento. Solo che a quel punto gli è stato gioco facile dire: “Siete venuti qui da me con delle posizioni diverse, dunque...”».
D’ora in avanti cosa farete?«Tutto quanto può metter fine nel più breve tempo a questo governo che fa male all’Italia, comportandosi come si sta comportando in politica interna e in quella internazionale».
Per andare alle elezioni?«Certo, per andare al voto».
Con questa legge elettorale accusata di portare instabilità?«Guardi che la legge attuale non ha dato cattivi risultati. Se ci recassimo alle urne oggi, col 57 per cento che abbiamo, ci garantirebbe un margine di alcune decine di senatori a Palazzo Madama».
Il piccolo problema è che le ultime politiche sono finite pari...«Sì. Intanto sono intimamente certo che ci hanno scippato la vittoria, che c’è stata un’attività professionale di brogli sviluppata in tutt’Italia. Ma a parte questo, un cattivo risultato l’ha data la frammentazione voluta dal Quirinale».
Da Ciampi?«Contro il nostro parere. Noi volevamo introdurre al Senato il premio di maggioranza su base nazionale, la Presidenza della Repubblica si era opposta sostenendo che doveva essere regionale. Al punto che avevamo proposto: togliamolo del tutto. Comunque è una legge con cui si può andare tranquillamente a votare. Riteniamo che il problema della riforma elettorale sia piuttosto una scusa di lorsignori».
Accetterà di incontrare Prodi?
«Nessuno ne ha mai parlato».
I «pontieri» però insistono...«Ma quali ponti o pontieri! Abbiamo deciso che all’incontro andranno i nostri due capigruppo, punto e basta».
Se la legge andasse per forza migliorata, dove comincerebbe? «Dallo sconcio di 22 partiti che ci fanno ridicoli agli occhi delle altre democrazie europee e occidentali. Se proprio volessimo rendere la legge ancora migliore, allora metteremmo una seria soglia di sbarramento».
Del 5 per cento?
«Del 5, del 4, qualcosa del genere».
Come esiste già in Germania?
«No, io non sono d’accordo col sistema tedesco. Certo, come Forza Italia, quel modello ci converrebbe. In quanto là è il partito di maggioranza relativa che ottiene il Cancelliere. Ed è il perno centrale, di cui non si può fare a meno per nessuna ragione».
In che senso non se ne può fare a meno?«Non sarebbe pensabile che con Forza Italia al 33 per cento, come dicono i sondaggi, i partiti della sinistra possano scavalcarla e mettersi d’accordo con altri partiti del centro-destra. Mi spiego?»
Eccome. «Né sarebbe immaginabile che preferiscano accordarsi con la sinistra estrema piuttosto che con Forza Italia, liberale ma moderata».
Se il sistema tedesco vi calza così bene, presidente Berlusconi, perché allora non lo adottate?
«Perché, diciamocelo chiaro: sarebbe un ritorno all’indietro. A quando i cittadini entravano nella cabina elettorale e votavano per un partito, senza sapere con chi si sarebbe poi alleato, e nemmeno quale programma avrebbe attuato. Sarebbe il trionfo dei vecchi arnesi della vecchia politica».