DI BRUNO VESPA
Chi ha capito tutto (e subito) è stato Raffaele Lombardo, leader del Movimento popolare per l’autonomia (Mpa). Con la sinistra uno come lui, fraterno amico personale e politico di Totò Cuffaro, non poteva andare. E nel centrodestra che ci stavano a fare tutte quelle liti tra consanguinei, quelle divisioni che sembravano fatte apposta per regalare la Regione Siciliana a una candidata forte come Anna Finocchiaro e per disperdere i preziosi, determinanti, premi di maggioranza siciliani al Senato? Ecco dunque Lombardo riuscire nell’impossibile: mettere d’accordo se stesso e Totò, ma soprattutto Silvio Berlusconi e Pier Ferdinando Casini, che non si parlavano quando erano alleati e figuriamoci adesso, nel presentarsi uniti alla regione e nella speranza di governare ancora una volta tutti insieme.
Di più: Lombardo ha fatto un altro capolavoro. D’accordo con la Lega Nord ha inventato la Lega del Sud, che sarebbe il suo Mpa, presente dal Lazio alla Sicilia così come il partito di Umberto Bossi s’è fermato alle porte di Roma (e pazienza se i fortissimi leghisti di Lampedusa dovranno cambiare bandiera). Una Lega del Sud ovviamente imparentata con il Popolo della libertà. Ma stavolta senza Casini, né in Sicilia né altrove.
Come sarebbe stato contento il cardinale Camillo Ruini se quel che è accaduto per la Sicilia si fosse esteso anche alle alleanze per il governo nazionale. Se cioè i centristi cattolici fossero ancora una volta candidati al governo e non dovessero lottare per una posizione che almeno inizialmente si annuncia marginale.
Ruini la pensa come nel 1993, quando fece di tutto perché fosse evitata la scissione della Democrazia cristiana tra la sinistra cattolica confluita nel Partito popolare e il poco che restava del moderatismo aggrappato alla zattera del Ccd bene ancorata al rimorchiatore di Forza Italia. Non ce la fece. Alle elezioni amministrative del novembre 1993 i candidati Ppi a Roma e a Napoli non arrivarono al ballottaggio. Alle politiche del 1994 Mino Martinazzoli sperava di essere determinante nel condizionare Achille Occhetto, vincitore annunciato, ma vinse invece Berlusconi e l’11 per cento del Ppi non servì a niente.
Si tenga conto, per di più, che quello era un altro secolo: ancora nel 1992 la martoriata Democrazia cristiana aveva sfiorato il 30 per cento dei voti. Quale sorte attende i centristi a quasi 15 anni di distanza e con gli stessi protagonisti di allora (Martinazzoli a parte)?
Clemente Mastella era pronto a tornare con il Cavaliere, ma nonostante la gratitudine di quest’ultimo il fuoco di sbarramento degli alleati ha reso, anche in termini di richieste, difficilmente avvicinabili le due sponde. Il vecchio amico Casini gli ha sbarrato le porte. Una soluzione, gradita allo stesso Clemente e patrocinata perfino dalla Lega Nord, sarebbe la sistemazione nella Lega del Sud di Lombardo, regionalizzando definitivamente l’Udeur.
Resta l’incognita più grossa: gli eventuali apparentamenti di Casini. Lui sarebbe disposto a fidanzarsi con la Rosa bianca: Savino Pezzotta preme, Bruno Tabacci resiste. Comunque vadano le cose, per l’Udc e per l’intera politica italiana si apre una stagione politica fino a ieri inimmaginabile. Il premio di maggioranza alla Camera metterà al sicuro il vincitore. Se al Senato la maggioranza di Berlusconi fosse risicata (al di sotto dei sondaggi d’oggi), l’Udc potrebbe avere un ruolo. In quel caso conterebbero programmi e valori. In larghissima parte conciliabili, prima che le forche caudine proposte da Pier a Silvio e la vendetta di Silvio su Pier non facessero saltare il banco.