DI LUCA RICOLFI
Di sprechi nella pubblica amministrazione si parla con insistenza da circa quattro decenni, più o meno da quando il leader repubblicano Ugo la Malfa denunciò il proliferare di ogni sorta di enti inutili. Ci sono sprechi e inefficienze nella sanità, nella scuola, nell’assistenza, nella giustizia, nei trasporti, nella burocrazia. Talora, come nei ministeri, gli sprechi dipendono essenzialmente dallo Stato centrale, altre volte, come nel caso della sanità, dipendono soprattutto dagli enti territoriali, in questo caso le regioni. Qualche politico crede che sia soprattutto la destra a dissipare il denaro pubblico, qualche politico crede che sia soprattutto la sinistra. Il problema è che senza una quantificazione degli sprechi è difficile stabilire come stanno le cose. E senza sapere quanto e dove si spreca è più difficile correre ai ripari.
Cosa dobbiamo intendere per spreco?
Spreco significa impiegare, per fornire un servizio di una determinata qualità, più risorse di quelle che impiegheremmo copiando i modelli organizzativi delle istituzioni più virtuose («best practices»). Nel caso della giustizia, possiamo chiederci quanto si risparmierebbe se tutti i distretti giudiziari lavorassero come quello più efficiente. Così per la scuola, l’assistenza, la sanità.
È quanto ha provato a fare l’Osservatorio del Nord-Ovest (www.nordovest. org) su vari capitoli della spesa pubblica, compreso quello della spesa sanitaria. Le pratiche migliori risultano essere quelle di Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia. Assumendo come standard di riferimento il livello di efficienza delle tre regioni virtuose, in media gli sprechi della sanità ammontano al 18,4 per cento della spesa totale. Dopo il Lombardo-Veneto, l’area meno sprecona è quella delle regioni rosse (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche), con il 7,1 per cento, mentre l’area più sprecona è il Sud, con il 36,4. Questo non vuol dire: da una parte il Nord efficiente, dall’altra il Sud sprecone. Nel Nord, per esempio, il Piemonte e la Liguria hanno un tasso di spreco vicino alla media nazionale (tra il 18 e il 19 per cento), mentre nel Sud le tre regioni ad alto insediamento della criminalità organizzata, ossia Campania, Calabria e Sicilia, hanno un livello di spreco quasi doppio di quello del resto del Mezzogiorno (42,5 contro 26,6 per cento).
C’entra il colore dei governi locali?
Pare proprio di no. Un’analisi statistica della distribuzione territoriale degli sprechi rivela che non c’è alcuna relazione fra il colore politico delle amministrazioni che hanno governato le regioni fra il 1996 e il 2004 e il livello degli sprechi alla fine di tale periodo. L’unica cosa che conta è il territorio: ci sono aree del Paese in cui la sanità funziona, aree in cui funziona male, aree in cui è semplicemente una macchina mangiasoldi.
Quanti soldi?
Più o meno 20 miliardi all’anno, secondo le stime dell’Osservatorio del Nord-Ovest. Viene da fare una proposta: perché, anziché proclamare l’ennesima guerra agli sprechi, non si stabilisce quanto si vuol recuperare in tutta Italia in un determinato anno e poi si fissano dei precisi obiettivi di risparmio regionali, ovviamente proporzionali all’entità degli sprechi?
Se nel 2009 volessimo recuperare 5 miliardi di euro (ossia un quarto degli sprechi) dovremmo richiedere 0,1 miliardi di risparmi all’Emilia-Romagna, 0,4 miliardi al Piemonte, 0,6 miliardi al Lazio, 1 miliardo alla Campania, e così via. Sarebbe un modo di cominciare a ridurre la spesa, ma soprattutto sarebbe un modo di mettere gli amministratori locali di fronte alle loro responsabilità.