di Giuliano FERRARA
Le mie pensioni. Silvio Pellico (Le mie prigioni) si rivolta nella tomba. La coscienza nazionale si fa i conti in tasca. Gianfranco Fini accusa Walter Veltroni di essere un pensionato di 52 anni, per 5.300 euro al mese. Non è proprio un argomento sofisticato, assomiglia parecchio a un colpo basso, ma efficace. Veltroni trasgredisce il Vangelo, che pure pubblicò a puntate sull’Unità, quando ne era il direttore, dopo la serie delle figurine Panini. Per lui la mano destra deve sapere quel che ha fatto la mano sinistra: ha dato un sacco di soldi alla Caritas, a Sant’Egidio, a una scuola africana, ai ragazzi autistici. Così l’elemosina delle sue pensioni o la promozione caritatevole del bene si confonde con la lista della spesa, con un qualunque elenco di costi e ricavi politici (oltre tutto, non capisco l’argomento di Walter sull’ineluttabilità della pensione: anch’io sono un parlamentare europeo emerito, diciamo così, e non attingo. Segno che non è proprio un dovere prendere quando si è lasciato).
Viene da dire: «Rialzati, campagna elettorale!». Aggiungendo che un tanto di dignità in più al linguaggio politico la si può dare, anche per rispetto ai cittadini che proprio tonti non sono, insomma: «Si può fare». Il problema è trovare le idee giuste, partendo dalla situazione vera del Paese e del mondo. Per trovarle bisognerebbe cercarle, ma non pare che si stiano facendo grandi sforzi a questo fine.
Non voglio fare del moralismo antipolitico, ci sono i guitti apposta per la bisogna. Ma sono loro a inseguire i guitti. Ha cominciato Veltroni con la solita solfa della riduzione dello stipendio dei parlamentari. Giustissimo, perché sono troppo alti in un paese in cui i sindacati e le imprese da decenni scambiano il loro potere di interdizione con una politica di bassi salari e stipendi che fa vergogna. Ma c’era lì pronto un bel risparmio vero e serio, la riduzione del numero dei parlamentari e la fine del bicameralismo ozioso, con la riforma della Costituzione, e Veltroni votò contro, la sinistra mise in piedi la più sciagurata e faziosa campagna delegittimante verso misure costituzionali approvate sotto Silvio Berlusconi, che tutti ritengono urgenti e pacifiche da circa trent’anni: più potere al capo del governo, nomina e revoca dei ministri, e appunto meno vagabondi a Montecitorio. Ora una grillata da comizio sarebbe credibile? No, e Veltroni si è beccato il suo, la risposta astiosa di Fini sulle sue pensioni baby.
Bisognerebbe inoltre, con onestà, chiedere a Gian Antonio Stella, un’autorità indiscussa in materia, di quantificare i risparmi possibili nel capitolo dei costi della politica. E di paragonarli con le perdite generate dalla cattiva politica, quella più demagogica, quella che insegue i privilegi corporativi delle gilde e dei sindacati e delle varie confindustrie, quella che non decide. L’Alitalia in trent’anni ci è costata cento volte di più del maestro di tennis gratuito di qualche deputato o senatore in vena di fitness. E ancora stiamo lì a fare i difficili con chi ha deciso di comprarsela, di sollevarci da quella macchina di debiti, di rilanciare una grande industria del trasporto su una scala europea e transcontinentale più efficiente (Air France-Klm). Poi ci prendiamo in giro con le indennità e le guarentigie, spesso oscenamente alte, di un migliaio di eletti.
Il costo della politica è la politica debole, ricattata, che non cerca e non trova quelle idee a disposizione sul mercato come concorrenza, mobilità sociale, libertà d’impresa, defiscalizzazione dell’economia, intorno alle quali, bene o male, quasi tutti i paesi del mondo sviluppato sono riusciti a garantirsi una crescita superiore a quella meschina, asfittica, dell’economia italiana. Rialzati, campagna elettorale.