Il partito monoposto, l’Italia dei valori, è dato in calo: perciò Antonio Di Pietro si sta agitando oltremodo. È molto interessante la sua uscita di ieri: ha detto che non sono «comprensibili e neppure accettabili» certi veti del centrosinistra circa l’ipotesi che lui possa fare il ministro della Giustizia. Che veti? Il più importante è di Walter Veltroni: durante un’intervista televisiva ha detto che un Di Pietro guardasigilli «non è proprio nel novero delle cose delle quali si discute». Ma se anche Veltroni non l’avesse detto, notare, sarebbe cambiato poco: secondo un accordo tacito e ampiamente condiviso, il galateo istituzionale di questo Paese prevede che Di Pietro non possa andare a quel ministero. Perché? La risposta è sconcertante, a ben pensarci.
Di Pietro, da un lato, non è ritenuto abbastanza equilibrato da governare una giustizia di cui ha una visione oggettivamente repressiva, per dirlo con gentilezza. Ma Di Pietro, al tempo stesso, non è altro che quello: è una specifica e strillata visione della giustizia senza la quale non esisterebbe e senza la quale non beccherebbe uno solo dei voti a cui anche Veltroni tuttavia è interessato. L’arruolamento di Di Pietro, che nel centrosinistra è dovuto a ragioni meramente contabili, contiene al tempo stesso la sua delegittimazione.