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 Se l’Italia perde credibilità per un delirio di onnipotenza Data: 22/03/2007
Appertiene alla sezione: [ Politica ]
Mentre tutti sono con gli occhi e le orecchi rivolte a Potenza in attesa di conoscere gli ulteriori sviluppi dell'ennesimo scandalo che vede protagonisti politici con il prurito da trans, donnette pronte a vendersi per danaro, fotografi, calciatori, vip e controvip, c'è un'altra Italia che segue, talora con apprensione, talora con distaccata indifferenza, talora con rabbia, i guai che hanno combinato in Afghanistan la coppia PRODI-D'ALEMA che non hanno esitato a scendere a patti con i talebani per ottenere il rilascio del giornalista di Repubblica Mastrogiacomo. Quest'ultimo ha dichiarato che non tornerà più in quei posti e che i talebani sono "dei pazzi visionari che vivono fuori dal mondo". Questi pazzi visionari hanno ottenuto in cambio della liberazione del giornalista la liberazione di cinque talebani prigionieri i quali appena tornati liberi di dedicheranno all'unica cosa che sanno fare: uccidere, uccidere, uccidere.
La trattativa di cui è vantato PRODI che ha usato un linguaggio da condottiero è stata condotta all'insaputa degli altri alleati, compreso gli americani che hanno espresso tutto il loro malessere per una iniziativa di cui non hanno conosciuto i dettagli e di cui non condividono le modalità. Anche olandesi, tedeschi e inglesi hanno aspramente criticato la condotta italiana la cui politica estera esce da questo fatto malconcia. D'altra parte è appena il caso di ricordare al Ministro D'Alema (a Prodi non vale la pena visto che non conta nulla e tra un pò sarà pensionato con o senza scalone) che in questi giorni è stato ricordato il rapimento di Aldo Moro (e l'uccisione della sua scorta) per la cui liberazione il suo partito, il PCI, impose la linea dura della non trattativa con i terroristi che tenevano prigioniero Moro: i terroristi delle Brigate Rosse non avevano nulla di diverso dai talebani afgani. Aver ceduto alle pretese dei talebani fa nascere dubbi sulla coerenza dei postcomunisti rispetto alla posizione assunta nel caso Moro e rimescola nuovamente le carte di quella tragica vicenda. Se la vita di un uomo è più importante dei principi, come PRODI ha dichiarato evidentemente con il consenso del suo Ministro degli Esteri, perchè ciò non valse per la vita di Moro? Domanda retorica? Non diremmo. Domanda che ha diritto ad una risposta.

Nel frattempo pubblichiamo sulla vicenda una nota di Livio Caputo

Se l’Italia perde credibilità per un delirio di onnipotenza di Livio Caputo -
Il «Grande gioco» tra Russia e Gran Bretagna per il controllo dell’Afghanistan era una cosa molto seria, che ebbe profonda influenza sugli equilibri politici dell’Ottocento. Il «Grande gioco» all’italiana, l’invenzione con cui Prodi e D’Alema - magari con la collaborazione di Gino Strada - cercano da un lato di fare le mosche cocchiere in Afghanistan e dall’altro di tenere buona la sinistra massimalista, rischia invece di finire, se non in burletta, in un imbarazzante buco nell’acqua. La partita era già arrischiata prima della vicenda Mastrogiacomo, perché la decisione del governo (ribadita l’altro ieri da D’Alema) di rifiutare la richiesta della Nato di potenziare il nostro contingente e di togliere i «caveat» che a tutt’oggi gli impediscono di partecipare ai combattimenti sul fronte sud avevano già notevolmente diminuito il nostro peso specifico sul territorio. Ora che, pur nel lodevole intento di riportare a casa sano e salvo l’inviato di Repubblica, abbiamo dovuto pregare il presidente Karzai di rilasciare ben cinque pericolosi capi Talebani (di cui uno è già tornato a combattere), regalando agli islamisti un notevole successo di immagine, il nostro potere negoziale è ulteriormente diminuito. Per giunta, abbiamo ritenuto opportuno affidarci in esclusiva a un mediatore, il dottor Strada, che si è senz’altro conquistato meritata fama di benefattore con i suoi osepadali, ma che è notoriamente un nemico del legittimo e democratico governo di Kabul, della Nato e degli americani. Infine, nell’ansia di riportare a casa il nostro collega, ci siamo dimenticati di garantire il rilascio anche del suo interprete, autorizzando così i giornalisti afgani a chiedere se la vita di un reporter italiano valga più di quella di un loro collega.
Ma c’è di peggio: nel cedere al ricatto dei tagliagole del mullah Dadullah, che lo stesso Mastrogiacomo ha definito «pazzi e fanatici», abbiamo impresso al conflitto una svolta molto pericolosa: d’ora in avanti ogni giornalista e ogni cooperante occidentale sarà un bersaglio, in quanto potenziale moneta di scambio per la liberazione di altri terroristi. Americani, inglesi e tedeschi hanno condannato ieri con estrema franchezza il nostro comportamento. Quanto a Karzai, ha precisato che il caso del giornalista italiano resterà un unicum, ma nessuno dubita che i Talebani, esaltati dal successo ottenuto, torneranno a provarci alla prima occasione.
Nonostante questi scheletri nell’armadio, Massimo D’Alema si è presentato martedì al Consiglio di Sicurezza dell’Onu con il piglio del protagonista, chiedendo di imprimere a un conflitto che sta divampando in tutta la sua ferocia quella «svolta pacifista» richiesta dai suoi alleati dell’estrema sinistra per dare luce verde al rifinanziamento della missione. Fare la guerra, ha detto il ministro, non serve «senza un rapido e solido progresso nelle condizioni di vita della popolazione» e «senza il pieno coinvolgimento dei Paesi vicini», che sarebbero poi l’Iran di Ahmadinejad e il Pakistan che, per la debolezza del governo centrale, ha praticamente lasciato le sue province di confine in mano a Bin Laden e ai Talebani. Al centro del suo intervento c’era la proposta della convocazione di una conferenza di pace, che né Karzai, né l’America, né la Gran Bretagna vogliono, e che non si capisce che utilità possa avere, perché con i terroristi non c’è nulla da negoziare. Perfino un giornale amico come il Corriere ha usato, per il piano dalemiano, espressioni come «ai limiti del verosimile», «temerario» e «facili velleitarismi».
Per fortuna, D’Alema ha avuto il pudore di non rilanciare la proposta di Fassino, osannata dalla sinistra massimalista, di invitare al tavolo i Talebani. Ma l’eco di quella dichiarazione era già arrivata a New York, e ieri ha attirato dagli alleati commenti quasi sarcastici. L’immagine che diamo è quella di un Paese che, pur avendo un ruolo secondario e volutamente circoscritto, pur avendo appena inferto un brutto colpo alla credibilità della coalizione, pur essendo vistosamente in debito con Karzai e gli americani, pretende - in una specie di delirio di onnipotenza - di dettare ai veri protagonisti un cambiamento di strategia. Sarebbe bene che Prodi & C. facessero un esame di coscienza e si affrettassero a inviare al contingente italiano quelle armi pesanti di cui avrà bisogno non se, ma quando, la guerriglia arriverà alla zona di nostra competenza.

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