di Maurizio BELPIETRO
Walter Veltroni dice di voler disboscare l’intrico di leggi che soffoca il Paese e opprime la vita degli italiani. «Entro il 2008 elimineremo 5 mila norme e faremo 100 testi unici, così otterremo una riduzione dei costi della burocrazia, con un risparmio di 9 miliardi l’anno» ha dichiarato il candidato premier del Partito democratico. Il proposito è lodevole, ma non c’è governo che non abbia giurato che avrebbe fatto piazza pulita delle migliaia di leggi inutili. Se ne discute dagli anni Novanta e da allora si sono spesi soldi in seminari e pubblicazioni che poi sono rimasti lettera morta.
Altro argomento della campagna elettorale: l’ex sindaco di Roma annuncia che multerà la pubblica amministrazione se non risponderà entro 30 giorni. Ma anche questo è un impegno già sentito: meno di due anni fa, il ministro della Funzione pubblica, Luigi Nicolais, varò un regolamento che assicurava il risarcimento del danno derivante al cittadino dall’ingiusta attesa di una decisione degli uffici pubblici. La legge, regolarmente varata, è naufragata in un mare di moduli.
Nel frattempo per gli italiani le cose si sono complicate. Così, mentre le ricerche stimano il peso della burocrazia sull’economia in quasi il 3 per cento del prodotto interno lordo, cioè circa 40 miliardi di euro, lo Stato continua a sfornare nuove norme e nuovi obblighi. Gli ultimi sono entrati in vigore all’inizio del mese.
Il primo prevede che per vendere casa sia indispensabile presentare un certificato di idoneità degli impianti elettrici e idraulici. Il secondo obbliga un lavoratore che vuole dimettersi da un’azienda a procurarsi un modulo del ministero del Lavoro e a farselo vidimare dall’ufficio provinciale, sempre del lavoro.
Entrambi i provvedimenti sono stati partoriti a tutela dei cittadini, ma, come spesso accade in Italia, finiscono per abbattersi sui presunti tutelati. Un proprietario di casa deve infatti procurarsi certificati e scartoffie varie per riuscire a vendere l’appartamento e, anche se l’acquirente ha firmato un compromesso in cui si impegna a comprare l’immobile nello stato di fatto (come avviene nella maggioranza dei casi se l’edificio non è di nuova costruzione), rischia di veder andare in fumo il rogito.
Ancor più incredibile la misura che dovrebbe scongiurare le dimissioni in bianco: per impedire i pochi casi di licenziamento mascherato, il ministero ha imposto a tutti di dimettersi non più con una semplice lettera, ma con tanto di timbro e lista d’attesa in un pubblico ufficio.
Le due norme sono un esempio che mostra il vero volto di una amministrazione dello Stato che non ha alcuna voglia di semplificare la vita dei cittadini, anzi preferisce ogni giorno complicarla, non per dabbenaggine, ma per calcolo. Siamo in balia di una burocrazia che non serve il Paese, ma solo se stessa e che da ogni nuova regola trae la sua ragione d’essere, il suo potere e le sue spese.
Veltroni probabilmente è in buona fede quando promette di tagliare le centinaia di migliaia di leggi accumulate negli ultimi decenni, ma dubito che ci riesca. L’ufficio complicazioni cose semplici, infatti, non è nato con la Seconda repubblica e nemmeno con la Prima. Fa parte della nostra storia nazionale. E come una sorta di escrescenza tumorale ci accompagna e cresce con l’andar degli anni.