Distratti piacevolmente dalla netta affermazione del Popolo della Libertà, non facciamo forse molta attenzione ad un risultato storico che hanno registrato le elezioni di ieri: per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana la sinistra socialista e comunista non avrà un solo rappresentante in Parlamento. A parte il Partito Democratico, né il partito socialista, né il variegato arcipelago della sinistra cosiddetta antagonista o radicale ha avuto accesso alle due Camere.
Un risultato storico che certifica inequivocabilmente un profondo declino politico e culturale anche in Italia di una certa idea della sinistra. Un’idea antiquata, antistorica, velleitaria che gli stessi elettori di riferimento hanno rigettato preferendo astenersi o votare per altri partiti.
Secondo autorevoli commentatori, molti voti della sinistra radicale sarebbero andati alla Lega. Ma la scomparsa di questo segmento geopolitico così importante nella storia dell’Italia repubblicana, induce anche a riflettere su come i partiti che formavano la Sinistra-l’Arcobaleno, al di là della riproposizione di leader stanchi o poco credibili, abbiano pagato una profonda inadeguatezza alle sfide della modernità.
Certo, gli elettori che appena due anni fa avevano dato ai partiti di sinistra circa l’otto per cento dei consensi, oggi li hanno ampiamente puniti anche per il loro atteggiamento durante i venti mesi del governo Prodi. Ma questa spiegazione da sola non basta. Va anche detto che questa sinistra, le sue articolazioni pratiche, le sue politiche così radicalmente antagoniste non hanno più ragione di esistere in una democrazia moderna ed occidentale.
Non è possibile, per esempio, trincerarsi dietro una velleitaria resistenza a tutto ciò che è progresso in nome di un ambientalismo ipocrita ed inutile; non si possono fermare le infrastrutture o boicottare il nucleare in nome di un’idea stupidamente bucolica della natura e delle mitiche energie rinnovabili e pulite. In questi mesi di governo Prodi la sinistra anche su temi delicati ed importanti come il welfare o la politica economica non ha saputo stare al passo delle sfide complesse che una società moderna pone a chi si assume le responsabilità di governo. Sulla riforma delle pensioni e sul protocollo welfare si sono visti atteggiamenti conservatori e addirittura indisponenti da parte di ministri della sinistra radicale che hanno portato alla paralisi il balbettante ed inconcludente esecutivo guidato dal professore bolognese.
Da un punto di vista sociologico assistiamo negli ultimi anni ad un progressivo e costante spostamento di voti di operai e di esponenti di classi sociali con i redditi più bassi verso il centrodestra ed in particolare verso il Popolo delle Libertà.
Vedono in questa forza liberale e solidaristica uno strumento più efficace e più realistico per creare ricchezza e distribuirla sotto forma di lavoro e di opportunità. La ricetta della sinistra è ormai antiquariato. Il suo secolare elettorato di riferimento non esiste più; restano soltanto nostalgie a volte snob verso un modello socio-politico assolutamente inadeguato per una democrazia moderna ed occidentale.
Non a caso negli altri stati europei da tempo i partiti della sinistra estrema non entrano in Parlamento e sono del tutto emarginati dalla vita politica. In Italia questo processo si è compiuto solo ieri con decenni di ritardo. E non si tratta, come dicono a mo’ di discolpa gli ammaccati leader arcobaleno di una polarizzazione del voto che ha premiato i partiti più grandi. Nel loro caso si tratta di un vero e proprio addio da parte degli elettori.
L’addio ad un mondo che non esiste più. A dei partiti che in questi anni hanno soltanto cercato di rievocare fantasmi del passato. Si chiude il sipario e si chiude anche un’epoca. Di cui gli italiani non avranno certamente nostalgia, nemmeno quelli con le tute blu.