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 SINISTRA CANCELLATA PERCHE' INCAPACE Data: 16/04/2008
Appertiene alla sezione: [ Politica Nazionale ]
Se Bertinotti piange, Veltroni non ride: per le due sinistre italiane quello di domenica e lunedì è stato il 18 aprile del terzo millennio, e ora la resa dei conti, a tutti i livelli, sarà spietata. Una sconfitta di queste dimensioni non può essere esorcizzata arrampicandosi sui soliti luoghi comuni dell'inaffidabilità della Lega o della scarsa coesione politica della coalizione vincente, come ha fatto il candidato premier del Pd. Se questa è la strada imboccata da Veltroni, non lo porterà certo lontano, perché manca del tutto una riflessione autocritica e rigorosa sulle ragioni della sconfitta.
La realtà è che il "redde rationem" è soltanto rinviato, e i risultati delle amministrative di Roma sono un'arma in più in mano agli avversari interni del leader, visto che Rutelli è stato costretto al ballottaggio da Alemanno, e nemmeno in provincia è arrivata la vittoria al primo turno nonostante che nella capitale il Pd avesse imbarcato anche la sinistra radicale. Insomma, se tra quindici giorni il centrosinistra perdesse nei ballottaggi romani, la leadership di Veltroni potrebbe già finire nel tritacarne. Anche perché "una sinistra che non vede un Tir che sta abbattendosi su di lei non ha molto futuro", ha causticamente osservato l'ex direttore dell'Unità Calderola.

La realtà è che la "impressionante rimonta" scandita da Veltroni in tutti i comizi elettorali non è mai davvero cominciata, perché 9-10 punti di svantaggio erano all'inizio e tali sono rimasti il 13 e 14 aprile. Una sconfitta senza attenuanti, dunque, che comporterà non solo una profonda riflessione, ma anche grandi cambiamenti. Qualche testa dovrà inevitabilmente cadere, perché tutti gli obiettivi strategici che si erano posti i fondatori del Pd sono stati falliti, tranne uno: la cancellazione della sinistra radicale. Ma Berlusconi è più forte di prima, lo sfondamento al centro non c'è stato, la soglia del 35% è rimasta lontana, così come è del tutto mancato lo sperato recupero di una parte di consensi al nord e in Sicilia, due zone cruciali del Paese. Nessuno fra i dirigenti è ora in grado di smarcarsi, di dichiararsi incolpevole. Se il Pd dovesse riproporre, dopo questa disfatta, l'ennesimo scontro Veltroni-D’Alema, diventerebbe prigioniero del suo passato comunista e delle ambizioni di due leader che forse dovrebbero cominciare a preparare la loro successione. Sono stati infatti commessi molti gravi errori, e la nomenklatura del Pd dovrebbe forse interrogarsi sul perché la sinistra è così antipatica agli italiani al punto che quella più radicale scompare e quella riformista fa piangere, come ha scritto Luca Ricolfi.

I distacchi abissali registrati al nord segnalano un problema che appare insolubile: c’è una inaffidabilità agli occhi di quella enorme parte d’Italia che ritiene la sinistra incapace di stare al passo con la parte più moderna del Paese. Nel 2008 molti elettori non votano più per appartenenze ideologiche forti, ma in base a convincimenti maturati di volta in volta sulla credibilità di una proposta politica rispetto a un'altra, e il Pd si è dimostrato troppo generico, troppo vagamente buonista, un ossimoro che avrebbe riprodotto al governo, seppure in misura meno marcata, le contraddizioni messe in campo dall'Unione. Il leader della Fgci degli anni '80, insomma, non è riuscito a far dimenticare né il suo passato né quello del partito che guida, riformista solo a parole. L'auspicio, per il bene dell'Italia, è che questa nuova traversata del deserto induca la sinistra a un'autoriforma reale, che faccia emergere idee nuove e nuovi leader.

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