Romano Prodi lascia un’eredità economica preoccupante; decisamente peggiore di quella che a ricevuto due anni fa. E va sfatato un luogo comune della sinistra: il suo governo non ha risanato i conti pubblici. Con il risultato: il 7 maggio (come ha detto Almunia) l’Italia uscirà dalla procedura europea di deficit eccessivo; con il rischio di rientrarci a giugno.
Crescita. Quest’anno il pil aumenterà dello 0,3%, dice il Fondo monetario. Il governo aveva previsto una crescita dell’1,5%; con gli ultimi documenti di finanza pubblica ha portato l’aumento del pil sotto l’1%. Il governo Berlusconi ha lasciato nel 2006 il pil sopra al 2%. Alla base del rallentamento dell’economia interna solo in parte può essere invocata la congiuntura negativa a livello internazionale. Quest’anno la crescita media globale sarà superiore al 4%, quella europea sarà dell’1,4%; l’Italia vedrà aumentare il pil solo dello 0,3%. Vale a dire che registrerà la crescita più bassa fra tutti i Paesi G8, fra i 15 di Eurolandia e fra i 27 della Ue. Le cause vanno ricercate anche nella politica fiscale che ha eroso i bilanci delle famiglie e ridotto la quota di reddito destinata al consumo.
Inflazione. L’Istat l’ha fotografata in marzo al 3,3%. Era dal 1997 che la corsa dei prezzi non era così alta. Alla base dei rincari, l’andamento dei prezzi delle materie prime (petrolio e cereali), ma anche una politica tariffaria che ha favorito la lievitazione delle bollette. Negli ultimi dodici mesi il prezzo del grano è raddoppiato e quello del petrolio è salito stabilmente sopra i 100 dollari al barile. In Italia, al di là delle quotazioni internazionali, la benzina costa in media più che in Europa: frutto delle mancate liberalizzazioni (promesse da Bersani) e del peso fiscale. Ridurre le tasse sui carburanti, però, è complicato: l’Iva è un’imposta sulla quale si calcola il contributo che gli Stati membri versano nelle casse di Bruxelles. Quindi, la Commissione difficilmente accoglierebbe una riduzione dell’aliquota Iva sulle benzine.
Conti pubblici. Il governo aveva previsto per quest’anno un deficit al 2,2%; superiore dello 0,2% a quello registrato nel 2007. In realtà sarà ben più alto. Il deficit stimato non tiene conto di 7 miliardi di maggiori spese non contabilizzate nel Bilancio dello Stato (infrastrutture e trasferimenti alle Fs). Con questa cifra il deficit reale, quindi, già viaggerebbe al 2,6%. Non è finita. L’obbiettivo del 2,2% sarebbe stato raggiunto se l’economia interna fosse aumentata all’1,5%. Lasciare sul piatto 1,2 punti di crescita, si traduce in un peggioramento del deficit dello 0,6%. Ne consegue che il deficit lasciato da Prodi viaggia intorno al 3,2%.
Debito. E’ destinato ad aumentare. La riduzione registrata nel 2007 è frutto esclusivamente (come la riduzione del deficit) al buon andamento del pil. Visto che questo verrà meno nel 2008, il debito aumenterà. A peggiorare la situazione contribuirà la situazione finanziaria internazionale. C’è poca liquidità sul mercato. La Repubblica Italiana, quindi, per convincere gli investitori a sottoscrivere i titoli pubblici deve alzare i tassi d’interesse. Fenomeno che si traduce in un aumento della spesa per interessi; in un peggioramento del fabbisogno; in una crescita del debito. Il governo Berlusconi lasciò lo spread (il differenziale sui tassi d’interesse fra i titoli decennali tedeschi ed italiani) pari a 29 punti base. Cioè, nel 2006 lo Stato remunerava con lo 0,29% in più chi sottoscriveva i propri titoli pubblici rispetto a quanto faceva la Germania. Oggi quello spread viaggia fra 55 e 59 punti base (con picchi fino a 61 punti base). Quasi il doppio di quello del 2006.