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 AMIANTO: CENTO MILIONI AI SINDACATI PER TACERE Data: 18/04/2008
Appertiene alla sezione: [ Politica Nazionale ]
Finanziamenti sottobanco ai sindacati. La Goodyear di Latina ha chiuso nel 2001, ma gli operai continuano ad ammalarsi e a morire, stroncati da tumori e altre malattie contratte in quei capannoni pieni di amianto e sostanze velenose. Ora, dalle indagini e dagli interrogatori di numerose persone affiora una verità sconcertante: l’azienda pagò in nero per molti anni almeno due rappresentanti dei lavoratori, in cambio i due - ribattezzati in fabbrica "mister 5 per cento" - non sollevarono mai il problema delle drammatiche condizioni in cui lavoravano centinaia di loro colleghi. Un primo processo, ormai alle battute finali, prova a dare nomi e cognomi ai responsabili di quella Spoon River ancora in corso: trentaquattro morti e sette persone ammalate. Ma nelle pieghe di questo procedimento eccone un altro assai inquietante: molte fonti raccontano di quel canale sotterraneo di finanziamenti andato avanti dagli anni Settanta agli anni Novanta. La Goodyear non pagava direttamente i sindacalisti, ma aveva elaborato un sistema invisibile: i soldi passavano dal medico aziendale.
Era lui a girare in nero il denaro ai due, entrambi iscritti alla Cisl. La Procura, che pure ha chiesto l’archiviazione di questo filone, ha quantificato il denaro versato: circa 100 milioni l’anno. Cento milioni che avrebbero agevolato la «pace» all’interno dello stabilimento di Cisterna di Latina e sarebbero serviti per ammorbidire chi avrebbe dovuto denunciare i gravissimi pericoli corsi dai lavoratori, ma sconosciuti ai più.
C. S., il medico che operava all’interno della Goodyear con una sua società, è morto ma la vedova in un lungo interrogatorio descrive quel che accadeva: «Nel 1972 all’atto dell’assunzione dell’incarico i vertici aziendali di allora, nella persona del signor D., gli rappresentarono che l’attività e i relativi corrispettivi che avrebbe percepito erano subordinati al pagamento di una quota del 5 per cento ai sindacalisti, uno dei quali era V. B.; per tale motivo dette persone erano definite “mister 5 per cento”. Tale compenso doveva essere corrisposto ai sindacati in quanto gli stessi non dovevano creare problemi, anche sanitari, alla fabbrica». Chiaro? «La triangolazione - prosegue la donna - fra la Goodyear e i sindacati, mediante l’attività di mio marito, doveva essere tale per ovviare ai controlli, infatti con tale metodo la società Goodyear non figurava da nessuna parte... Mio marito ovviamente vistosi obbligato aderì e cominciò a lavorare corrispondendo il 5 per cento degli incassi a V. B.». Nel 1992, con la costituzione di una nuova società, l’obolo raddoppiò passando secondo la vedova di C. S. «dal 5 al 10 per cento». Questa situazione si protrasse, a sentire la donna, fino all’ottobre ’96 e sempre con la stessa motivazione: evitare che i sindacati «creassero problemi nelle materie per cui la vigilanza era loro demandata».L. L. P., infermiere attivo in fabbrica dal 1992 al 1997, quando perde l’incarico, conferma: «Io ho delle certezze circa il mio allontanamento e cioè che ero a conoscenza di alcuni fatti particolari tipo quello delle mazzette che il dottor C. S. pagava ai sindacati della Goodyear per conto di quest’ultima... Detto finanziamento avveniva affinché i sindacalisti chiudessero gli occhi su tante situazioni particolari fra cui la sicurezza e la salubrità della fabbrica». Chiudere gli occhi, naturalmente, non significa che i rappresentanti dei lavoratori avessero compreso nei dettagli i pericoli dei processi di lavorazione. Si può immaginare che gli oboli fossero utili per evitare approfondimenti che avrebbero scoperchiato lo scandalo.
«I sindacalisti che percepivano dette mazzette erano tanti, ma facevano tutti capo a B. V. e B. R. che erano i due capoccioni. Tale situazione di fatto è accaduta in modo costante durante tutto il periodo di servizio presso la Goodyear. Sono venuto a conoscenza di ciò dallo stesso C. S.».
Nel marzo 2001 la Goodyear cessa la produzione; intanto qualcuno comincia a notare le troppe morti degli operai e dei tecnici che hanno lavorato a Cisterna di Latina. E salta fuori non solo che i materiali utilizzati per la gomma come il nerofumo erano cancerogeni, ma anche, beffa nella tragedia, che l’amianto era dappertutto: nella copertura del capannone principale, nelle presse; perfino i guanti di protezione erano in amianto. Il sito viene bonificato, la Procura indaga a tappeto e contesta ai vertici aziendali l’omicidio colposo plurimo per 34 vittime, il filone sui sindacati scivola invece verso l’archiviazione. Nessun nome viene iscritto nel registro degli indagati.
La storia potrebbe finire qui, ma un ex dipendente, A. C., si oppone e chiede nuove indagini. Secondo il suo avvocato Ezio Bonanni, «era la non sicurezza il nodo e vi era una vera e propria associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale, al falso in bilancio e al concorso in strage o quantomeno in omicidio colposo». Sarà il gip a stabilire se archiviare la pratica. L’ultimo operaio colpito da un raro tumore è morto pochi giorni fa.

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