di IDA MAGLI
Ancora una volta gli italiani sono riusciti a salvarsi. È una costante della loro storia, quella per la quale è nato il mito dello «Stellone d'Italia». Nessun popolo è stato governato sempre come gli italiani, nella loro lunga storia, da despoti utopisti, da traditori, da vigliacchi, da ladri, e nessun popolo è stato capace come gli italiani di salvarsi sempre all'ultimo minuto, con uno scatto improvviso di ribellione, di realismo, di volontà di vita. Questa volta, poi, sembrava quasi impossibile. Al governo erano giunti finalmente tutti i più «puri della democrazia» e sarebbe stato molto difficile percepire il pericolo mortale che portavano con sé se non fosse giunto chiarissimo ai cittadini-sudditi, proprio per il fatto che si era concentrata nel gruppo di Prodi l'essenza dello spirito comunista, il significato e il peso del dispotismo utopico. Un dispotismo che all'improvviso ha tradotto in termini concreti le affermazioni di principio ripetute da tanti anni, quelle dell'assoluta uguaglianza, che in teoria erano sembrate sempre quanto mai belle e giuste. Lo spirito del comunismo si è diffuso nell'aria attraverso ogni parola, attraverso ogni decisione che veniva presa dai membri del governo perché essi ne erano «portatori» nella loro personalità, ne erano psicologicamente intrisi. Credo che non esista nessuna altra spiegazione del senso di incubo creato in così poco tempo dal gruppo prodiano, un incubo che ha spinto gli italiani a un soprassalto disperato, a tentare di liberarsene con ogni mezzo a disposizione: ci si è accorti di stare precipitando nella patologia. Qualsiasi società, infatti, diventa patologica se i governanti non la guidano con il distacco oggettivante della ragione ma con l'immediatezza delle proprie pulsioni psicologiche. Del resto è da questa immediatezza che è stato alimentato in forma macroscopica il dispotismo intrinseco alla ideologia comunista ovunque esso si è installato.
Non è vero ciò che è stato ripetuto tante volte in questi giorni, ossia che il comunismo non è più presente in Parlamento. L'operazione compiuta da Veltroni assemblando in un nuovo partito la maggior parte delle sinistre, le ha salvate da una totale débâcle. Ma si tratta di una operazione di facciata, sulla quale è bene non farsi illusioni. Non è stato detto, infatti, da quale idea, da quale teoria politica siano sostenute, contentandosi della loro etichetta di «sinistra». Ma di fatto che cosa di sinistra? Socialisti, forse? Il socialismo porta sempre all'assolutezza della dittatura. È sufficiente la storia a dimostrarlo. Né può sfuggirvi in quanto il principio dell'uguaglianza contraddice la ragione mettendo in essere la necessità di distruggere «l'altro», il concetto stesso di «altro», nel momento in cui cancella le differenze. Perdendo l'Altro si perde anche l'Io. Tanto l'Io dell'individuo quanto l'Io del gruppo.
È il motivo più profondo e nascosto del senso di morte provocato dal governo Prodi: stavamo perdendo l'Io. È questa, del resto, la causa vera della crisi attuale del pensiero e della cultura occidentale; una crisi che è cominciata nell' Ottocento con il marxismo e che è giunta fino a noi attraverso le terribili distruzioni e le atroci sofferenze che ha provocato. Né si pensi che si possa fare a meno di riflettere in profondità su questa storia; di riflettervi non con l'analisi politica, come generalmente è stato fatto, ma filosoficamente, mettendo in atto tutti gli strumenti cognitivi che possediamo. Da questo punto di vista quello che ci attende è un grave compito culturale al quale non può sottrarsi il nuovo governo, malgrado l'impellenza dei problemi concreti. L'Italia non può vivere, non può «crescere» occupandosi soltanto di economia. Abbiamo urgente bisogno di rimetterci a creare «pensiero». Abbiamo urgente bisogno di rimettere in moto l'intelligenza della ricerca, di cui il genio italiano è stato sempre ricchissimo, facendo riemergere dal nascondimento nel quale sono stati costretti, gli studiosi, gli intellettuali e ridando fiducia, mezzi e potere selettivo alle Università (è giunta l'ora di togliere l'impronta comunista anche ai ministeri separando dalla scuola l'università, che deve essere guidata da una persona di alto livello culturale, ed eliminando l'umiliante razzismo delle «pari opportunità»).
Dunque è stato prima di tutto il principio di realtà a spingere gli italiani a votare in massa per il centrodestra; è come se avessero gridato: «Non vogliamo morire». Si spera in Berlusconi imprenditore, nelle facce tranquille che lo circondano perché si vuole essere governati da qualcuno che adempia all'unico dovere di chi governa: occuparsi dei problemi quotidiani di un popolo, del suo territorio, della sua identità, del futuro dei suoi figli. Ed è stato lo stesso principio di realtà a spingere gli italiani ad abbracciare il ruvido buon senso leghista, un buon senso che appare adesso, una volta sfuggiti alla morsa dell'angoscia sessuo-esistenziale dei vari Arcobaleni, un approdo sicuro per tutelare i nostri interessi. Che siano stati gli elettori di sinistra, poi, a votare per la Lega è il dato più felice di queste elezioni, il segnale più «italiano»: neanche chi sta a sinistra vuole morire.