Un articolo di Maurizio BELPIETRO, da Panorama
A sinistra si discute delle ragioni dello smottamento elettorale. Nella hit parade delle cause domina l’incapacità di parlare al Nord e qualcuno, per porre fine alla lacuna, si è perfino spinto a immaginare un Partito democratico del Settentrione, che nel futuro sia capace di radicarsi sul territorio così come ha fatto il Carroccio. Idea in sé suggestiva, ma senza possibilità alcuna di successo: credere che bastino dei leghisti in camicia rossa, anziché verde, a risollevare le sorti del Pd, è come pensare che sia sufficiente cambiar nome a un partito per ottenere in cambio dei voti.
La batosta in realtà ha motivazioni più profonde. La sinistra non ha perso per non aver saputo parlare al Nord, semmai per non aver saputo ascoltare. Vittime del loro complesso di superiorità, molti dirigenti del Pd hanno in questi mesi impartito lezioni agli elettori ma non sono riusciti a prenderne da questi nemmeno una. Se avessero ascoltato, molto probabilmente avrebbero capito ciò che gli italiani vogliono. Un esempio? Nei giorni scorsi mi è capitato di partecipare a Porta a porta e in studio vi erano gli ex ministri Rosy Bindi e Livia Turco. Invece di essere ammutolite dalle proporzioni della sconfitta, le due onorevoli spiegavano con granitica certezza che la Lega ha vinto perché ha fatto leva sulle paure della gente. A oltre vent’anni dalla sua nascita, si continua a liquidare il movimento di Umberto Bossi come un partito che fa un uso politico della paura.
In pratica non sarebbero gli italiani a provare inquietudine per l’aumento della criminalità, e in particolare di quella d’importazione, ma sarebbe il Senatùr che li aizza, speculando su delinquenti ed extracomunitari. L’implicita convinzione è che gli elettori che si fanno incantare da Bossi sono dei sempliciotti, gente un po’ rozza, che non sa, che non conosce, come invece sa e conosce chi come Bindi e Turco ha letto e si è documentato. A sorreggere il ragionamento c’è, ovviamente, la certezza dei democratici di essere la parte migliore del Paese.
Il complesso di superiorità spesso acceca. Politici e intellettuali si sono a lungo rifiutati di considerare l’angoscia per l’espandersi della delinquenza come un problema, negando che esistesse o sostenendo che fosse irrazionale, dovuta alle manipolazioni dei mass media e di alcune forze politiche. Ma già nel ‘98 gli studiosi hanno accertato che il timore della criminalità è un fenomeno sociale imponente, che riguarda oltre 14 milioni di italiani. E a distanza di dieci anni è facile immaginare che il senso di smarrimento non sia diminuito.
Gli elettori, dunque, non hanno paura perché glielo dice Bossi, ma perché vedono ciò che quotidianamente accade intorno a loro. Per capire che il collegamento tra criminalità e immigrazione non è frutto di una strumentalizzazione elettorale, basterebbe leggere i rapporti del ministero dell’Interno: il 51 per cento dei denunciati per rapine o furti in abitazione è straniero, come pure il 39 per cento dei denunciati per violenze sessuali, e il tasso di criminalità degli extracomunitari irregolari è 28 volte superiore a quello degli italiani.
Dire che gli immigrati commettono, in percentuale, più reati degli italiani non è dunque un pregiudizio. Semmai il pregiudizio è, alla rovescia, quello di una parte politica che, quando viene bocciata, non dice mai di aver sbagliato, ma spiega che a sbagliare sono gli elettori. È una specie di razzismo, un mito di superiorità: non della razza, ma della sinistra.