Sui provvedimenti del Govenro, in particolre su quelli di natura fiscale, l'abolizione dell'ICI sulla prima casa e la detassazione delgistrardinari, sono state espresse riserve dai sindacati e dalla sinistra. A Toritto sui provvedimenti del governo, la sinistra ormai extraparlametare ha diffuso un comunicato a fronte del quale riteniamo opportuno pubblicare la nota dell'economista Giuliano Cazzola che dimostrra come invece i provvedimenti siano nella forma e nel merito in sintonia sia con gli impegni elettorali, sia con gli interessi delle famiglie e dei lavoratori.
Per esprimere una valutazione compiuta dei provvedimenti di carattere economico e fiscale che il Governo ha varato a Napoli sarà opportuno leggere con cura i testi per ora solo anticipati nelle loro linee generali. Anche le critiche rivolte alle nuove norme risentono di una certa fretta e – talvolta – sembrano proprio dettate da posizioni precostituite. Cominciamo dalle osservazioni di metodo.
E’ stato sostenuto dall’opposizione che le misure adottate sono onerose e non costituiscono una priorità. Questa considerazione è stata avanzata, in modo prevalente, con riferimento all’abolizione totale dell’Ici sulla prima casa. Si sono tirate in ballo le minori entrate degli enti locali, come se analogo problema (magari in dimensioni più ridotte) non si fosse posto nel momento in cui era stato l’esecutivo Prodi a decidere una riduzione parziale dell’imposta sulla casa, agendo come se questa non fosse anche la principale preoccupazione del Governo, il quale è orientato a provvedere in via transitoria alla copertura del mancato gettito in sede locale, nella prospettiva dell’avvio del federalismo fiscale che affronterà (e speriamo risolverà) l’annosa questione della ripartizione delle risorse fiscali tra centro e periferia. Altri rilievi sono stati rivolti alle misure di detassazione del lavoro straordinario e dei premi incentivanti.
Prima di entrare nel merito, sarà bene ricordare un aspetto cruciale del pacchetto "Napoli-lavoro". I temi dell’Ici e della detassazione hanno dominato quasi sempre la campagna elettorale, nel senso che – a torto o a ragione a seconda dei punti di vista – il PdL ne ha continuamente parlato, senza riserve di alcun tipo. Poiché nei due anni che abbiamo alle spalle gran parte del dibattito interno all’Unione si è svolto sull’esegesi e l’attuazione del programma di 285 pagine forgiato nel loft di Prodi nel 2006, non sembra possa destare meraviglia che la nuova coalizione di governo pretenda di dare attuazione alle priorità proposte come tali agli elettori (quelle stesse indicazioni programmatiche che presumibilmente hanno pure contribuito alla netta vittoria dell’alleanza PdL-Lega del 13-14 aprile). La maggioranza è convinta di aver varato delle proposte utili al Paese, in sintonia con tante famiglie di cittadini. Verrà presto il momento della verifica.
Passando a parlare del merito le critiche si sono appuntate soprattutto su due aspetti: la mancata inclusione dei pubblici dipendenti, da un lato, l’inopportunità di detassare lo straordinario, dall’altro. Nel primo caso autorevolissimi parlamentari hanno scomodato persino la Costituzione. La legge fondamentale dello Stato sarebbe stata insultata e violata a causa della "discriminazione" perpetrata ai danni del pubblico impiego. L’esclusione di un pezzo importante del lavoro dipendente è dovuto non già ad un pregiudizio nei confronti degli impiegati pubblici, ma ad un’esigenza di selezionare l’impiego di importanti ma limitate risorse a disposizione, chiamate altresì a finanziare altri interventi che il Governo considera prioritari. Inoltre, trattandosi di una misura di carattere sperimentale ci sarà sicuramente il modo di rimediare alla disparità di trattamento in sede di legge finanziaria per il 2009, nel caso in cui saranno valutate l’utilità e la convenienza a proseguire nella detassazione. Opportunamente, poi, il ministro Brunetta ha compiuto ogni possibile tentativo – questo è un preciso segnale politico che non va lasciato cadere durante l’iter legislativo – per includere i settori più delicati delle Forze dell’ordine e dei Vigili del fuoco, che si prodigano senza risparmio al servizio della collettività.
Ma c’è un’altra ragione d’ordine politico in quanto chiama in causa proprio gli obiettivi che l’esecutivo intende perseguire. Le misure, infatti, sono finalizzate a dare un impulso alla ripresa dei settori produttivi, realizzando nel contempo un miglioramento delle retribuzioni come corrispettivo di un maggior impegno lavorativo. Nelle aziende private esistono le condizioni strutturali perché lo scambio tra lavoro e retribuzione avvenga con riferimento a dati reali. In altre parole, è la regola principale del mercato a far sì che i datori di lavoro eroghino aumenti (provenienti dai bilanci delle loro aziende) soltanto a fronte di una migliore prestazione (quali-quantitativa) dei loro dipendenti. Nella pubblica amministrazione, purtroppo, la realtà è diversa. Il ministro Renato Brunetta ha affermato che le misure di detassazione verranno estese anche ai dipendenti pubblici nella misura in cui il loro trattamento complessivo sarà simile a quello dei lavoratori privati. Brunetta sa benissimo che da almeno 15 anni lo stato giuridico del pubblico impiego è regolato dal diritto comune, mentre le controversie sono affidate alla giurisdizione ordinaria. Quello del ministro, dunque, è un ragionamento che va oltre il formalismo giuridico; pone invece un problema di sostanza, innanzi tutto politica. Non sarebbe credibile, infatti, un ministro che un minuto dopo il giuramento nelle mani del Capo dello Stato esprime pubblicamente giudizi severissimi sulla situazione della pubblica amministrazione e si impegna a realizzare radicali cambiamenti in breve tempo, ma che la prima volta in cui è chiamato a dar prova di voler cambiare linea di condotta si trasforma in un avvocato dei dipendenti pubblici, come facevano i vecchi ministri democristiani della funzione pubblica (e magari anche qualcuno della seconda Repubblica).
Ma poi chi ha detto che quanto è riconosciuto ai dipendenti privati debba esserlo anche a quelli privati (soprattutto se si è ancora nell’ambito della sperimentalità) ? Ad andarli a cercare con cura e pazienza troveremmo diversi casi in cui talune normative hanno escluso i travet, senza sollevare una presa di posizione contraria della Corte, la quale assume come "luce e guida" delle proprie sentenze il criterio della ragionevolezza. Cominciamo dal superbonus ovvero dall’incentivo a rinviare il pensionamento: dal bendiddio che è derivato agli optanti era totalmente escluso il pubblico impiego per diversi motivi, non l’ultimo quello dell’ammontare modesto delle risorse disponibili. A tale "limitazione" va aggiunta la pratica impossibilità – di cui soffrono i funzionari pubblici – di conferimento volontario del trattamento di fine servizio a finalità di previdenza complementare.
Da ultimo, viene quello che l’opposizione definisce un atto contro le donne che lavorano. In sostanza, dal momento che le lavoratrici non effettuano solitamente lavoro straordinario - prese come sono dalle loro responsabilità familiari - si sostiene che esse non avranno alcun vantaggio dalle nuove norme. Premesso che insieme allo straordinario sono coinvolti dalla detassazione anche i premi aziendali, basterebbe confutare la critica di genere sottolineando che – portando alle estreme conseguenze il ragionamento – ogni miglioramento retributivo favorirebbe gli uomini essendo loro – purtroppo – la componente assolutamente maggioritaria del mercato del lavoro.