EDITORIALE DI MAURIZIO BELPIETRO - PANORAMA IN EDICOLA
Il problema di Walter Veltroni non è Silvio Berlusconi, ma Antonio Di Pietro: è con lui che il segretario del Partito democratico deve fare i conti. L’ex pm è un concorrente vero, il solo che, dopo la scomparsa in Parlamento dei gruppi radicali, può rubargli la scena e di conseguenza i voti. La linea del dialogo non piace a tutti gli elettori del Pd, molti preferirebbero una contrapposizione muscolare che rallentasse l’avanzata del Cavaliere trionfante, e l’antiberlusconismo di Di Pietro rischia di avere presa rapida su questa fascia di militanti.
Perciò Veltroni è costretto a inseguire il leader dell’Italia dei valori in battaglie cui probabilmente rinuncerebbe volentieri, come quella sull’emendamento alla Gasparri, bollato subito come provvedimento “salva Rete 4″. In realtà la norma non ha nulla a che fare con Emilio Fede e la tv della Mediaset (lo testimonia il fatto che il governo ha riformulato l’emendamento nella parte contestata dall’opposizione) e i molti opinionisti che si sono occupati della materia avrebbero potuto scoprire, se non fossero vittime di un giornalismo sciatto, il gioco furbo e un po’ maramaldo dell’ex pm.
L’unico ad avere avuto il coraggio di scrivere che l’operazione rientra nel filone di un antiberlusconismo che rischia di riportare indietro le lancette della politica è stato Franco Debenedetti, ex senatore dei Ds e fratello dell’editore della Repubblica, il giornale che più ha enfatizzato la battaglia dipietrista. Debenedetti, sul Sole 24 ore, ha spiegato testualmente che “Rete 4 con le obiezioni di Bruxelles non c’entra nulla (è nominata in due note a piè di pagina)”.
L’emendamento in realtà è la risposta alle obiezioni della Commissione europea. Due anni fa, epoca Prodi, l’Europa contestò alcuni paragrafi di due leggi che regolano il mercato delle tv. Il buonsenso avrebbe imposto al precedente governo di fare al più presto le modifiche sollecitate, per evitare che la procedura d’infrazione proseguisse e rischiasse di giungere fino alle estreme conseguenze, ossia una multa. Romano Prodi invece non fece nulla e preferì lasciare in eredità al nuovo esecutivo l’obbligo d’un intervento. Appena però Berlusconi ha messo nero su bianco una misura che recepisce “esattamente la formulazione richiesta da Bruxelles” allo scopo di evitare la sanzione pecuniaria, Di Pietro ha dato fiato alle trombe, accusando il Cavaliere di farsi gli affari suoi, fabbricandosi leggi su misura. E visto che la materia è complicata, nessuno ha verificato le tesi dell’ex pm, prendendole per buone.
Sono bastati dunque un po’ di titoli sui giornali e il sospetto che l’emendamento servisse a “salvare Rete 4″ per convincere Veltroni ad accodarsi alla campagna dipietrista, accantonando la linea del dialogo. Pagherà questa strategia? Servirà a ritrovare il ruolo perduto? Credo di no. Il Pd si è presentato agli elettori con un programma che rompeva ogni legame con la sinistra radicale: basta girotondi, fine della stagione di demonizzazione dell’avversario. Che senso ha dunque ritornare su una strada già percorsa, “contendendo” come dice Debenedetti “a scrittori di libelli e al partito di Di Pietro il loro piccolo redditizio monopolio giustizialista”? Non sarebbe meglio metter da parte l’antiberlusconismo e riflettere sulla sconfitta?
L’ex parlamentare diessino probabilmente chiede troppo. Ciò di cui neppure lui s’accorge è che il Pd e il suo segretario sono troppo deboli per potersi permettere il lusso di ignorare la concorrenza dell’ex pm. La realtà è che dalla lotta per la vittoria si è passati alla lotta per la sopravvivenza. E per il Pd l’esito non è affatto scontato.
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