Oggi, a proposito dell’allucinante vicenda della clinica Santa Rita di Milano, il Giornale pubblica una serie di intercettazioni telefoniche. Lo facciamo perché sono negli atti giudiziari, perché sono oltremodo significative e pertinenti alle persone coinvolte e ai reati ipotizzati e perché compito di un organo di stampa è dare le notizie di cui entra in possesso, ovviamente nel rispetto della legge. E una legge che proibisca la pubblicazione delle intercettazioni per ora non c’è.
Fa un po’ sorridere che i pm si siano affrettati a precisare che senza l’ausilio del Grande Orecchio non sarebbe stato possibile scoprire le malefatte compiute in quella che, se le accuse saranno confermate, rimarrà nella storia come la clinica degli orrori. Un sorriso amaro, perché proprio in quest’indagine pare ci siano tutti gli elementi utili a rendere non strettamente necessarie le frasi captate al telefono: cartelle cliniche, testimonianze, perizie, gli stessi corpi martoriati delle vittime. Ma per i magistrati era troppo forte la tentazione di usare strumentalmente un’inchiesta di tale impatto sull’opinione pubblica allo scopo di bloccare il giro di vite sulle intercettazioni prospettato dal governo.
Eppure è chiaro che un freno ci vuole. Siamo di gran lunga il Paese al mondo in cui si effettuano più intercettazioni: si calcola che vengano «ascoltati» a loro insaputa tre italiani su quattro, neanche in Corea del Nord... E questa attività assorbe un terzo dei fondi stanziati ogni anno per la Giustizia, una macchina cigolante che si difende dalle accuse di inefficienza lamentando la penuria di soldi: un paradosso evidente anche a un bambino, soprattutto se si verifica (come fa oggi il Giornale) che a costi enormi per raccogliere le chiacchiere di tutto il Paese corrispondono risultati modesti sul piano investigativo, visto che i delitti insoluti sono aumentati. Di pari passo con il senso di insicurezza della popolazione. A questo si aggiungano i danni che non di rado sono stati arrecati alle persone con la pubblicazione di atti di nessuna rilevanza, né penale né sociale, e si comprende come un riordino della materia sia piuttosto urgente. Parola di Giuliano Vassalli, padre del Codice di procedura penale: «Sistema degenerato. I magistrati ricomincino a fare le indagini, è troppo comodo intercettare tutti».
Apparentemente sono tutti d’accordo. I politici di centrodestra lo vanno ripetendo da tempo. E quando, più di recente, sono stati scottati personalmente, anche quelli di sinistra si sono messi a strillare contro la gogna mediatico-giudiziaria. La cosa bizzarra è che, appena si propone una soluzione, se ne dimenticano e si uniscono al coro dei pm che gridano all’attentato contro le inchieste. Grottesco. È evidente che per limitare le intercettazioni servono dei criteri e Berlusconi ne ha proposti alcuni, ponendo l’asticella in alto. Troppo? Può darsi, ma limitarsi a dire «non salto» è atteggiamento infantile. Serve una controproposta credibile. Una cosa sola non si può fare: fingere di non sentire per poter continuare a guardare dal buco della serratura in casa di tutti gli italiani.