Finalmente, ieri pomeriggio, si sono svegliati a Roma gli appassionati del corteo di protesta contro le ingiustizie del mondo, i nemici delle dittature, gli amici degli oppressi, gli apostoli della libertà, i firmatari d’ogni possibile appello antifascista. Temevamo fossero evaporati, non avendone notato la presenza e nemmeno l’irruenza nei giorni scorsi, quando pure erano sembrate imperdibili le occasioni per dare sfogo ai loro slanci virtuosi.
La Città Eterna aveva dovuto ospitare, per una assemblea della Fao, alcuni tra i peggiori e più inquietanti attori della scena internazionale. S’era esibito, nel suo risaputo e minaccioso copione, l’iraniano Ahmadinejad: al quale piacerebbe tanto che Israele fosse cancellata - possibilmente in forma cruenta - dalla carta geografica. Nella speranza di veder realizzato questo suo sogno, Ahmadinejad allestisce ordigni atomici. Potrebbero riuscirgli utili. I romani hanno anche avuto il dubbio privilegio di vedere da vicino quel brutto ceffo che risponde al nome di Robert Mugabe: oppressore e affamatore del suo popolo. Si sono fatti vedere altri tipi poco raccomandabili, il Terzo mondo ne ha un serbatoio pressoché inesauribile. Ma la Roma del «no pasaràn» e del «go home» è rimasta tranquilla, zitta, serena di fronte alla presenza di questi forsennati che dovunque si trovino annunciano sfracelli. I descamisados delle rivoluzioncelle italiche erano tutti impegnati in assalti alle code alla vaccinara anziché ai palazzi del dispotismo.
Ma avevamo dubitato a torto. I nipotini dei «partigiani della pace», che vedevano in Giuseppe Stalin la personificazione della mitezza, si sono riavuti dalla catalessi non appena il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, ha messo piede a Roma. Subito in piazza, allora. A urlare contro questo potente e prepotente che anziché farsi nominare Capo dello Stato a vita - come è buona consuetudine altrove - tra qualche mese se ne andrà dalla Casa Bianca. Il raduno anti-Bush aveva connotazioni malinconiche: con i trombati dell’estrema sinistra nelle ultime elezioni politiche, con sindacalisti in disarmo, con i soliti dervisci impazziti dei centri sociali. Non sono in particolare sintonia con la politica di Bush, e ammetto che democraticamente lo si contesti. A patto che lo si faccia dopo aver riconosciuto - se si è onesti - che è alla testa d’una vera democrazia, e che governa nella libertà. Sa invece di malafede e di ipocrisia lontano un miglio il comportamento di chi tace al passaggio di tiranni tracotanti e si sente oltraggiato perché il presidente d’un grande Paese alleato è a Roma. Oltraggiati siamo noi, di fronte a questa doppiezza. Mario Cervi